Casa di riposo? No grazie!



Esistono alternative alle case di riposo?”, mi ha chiesto un’amica di recente, preoccupata che una sua parente non più giovane, tuttora in buone condizioni fisiche, possa ritrovarsi presto a dover ripiegare su una soluzione di questo tipo, visto che è rimasta sola, ha bisogno di una mano, ma non le arride l’idea di una badante in casa.
Certo che esistono”, le ho risposto con un sorriso. Ci sono località che offrono più di un’alternativa e altre che ne offrono meno, però in Italia la situazione diventa sempre più incoraggiante.
In particolare, per gli anziani che godono ancora di una condizione di salute buona o discreta, autosufficienti o quasi, che non richiedono, per intenderci, cure continuative e/o sofisticate, tali da essere costretti a un ricovero in casa di cura, per questi anziani fortunati c’è la possibilità di alloggiare in strutture residenziali (le famose Comunità Alloggio), alcune delle quali davvero molto belle. È come se si andasse a vivere in un residence in cui le camere (singole o doppie) sono dotate di ogni comfort, dove è possibile portarsi dietro pezzi di arredamento oppure semplicemente oggetti della propria abitazione originaria, in modo da sentirsi circondati da qualcosa di familiare e rassicurante. I servizi igienici sono comuni a un numero ridotto di camere e in genere gli ospiti non sono più di 12. Ci sono delle zone comuni, come la cucina, la lavanderia, la sala da pranzo, la sala Tv, la sala delle riunioni, gli spogliatoi, il giardino. Alcune strutture sono inserite in un contesto ambientale incantevole, immerse nel verde o vicino ai laghi o ai fiumi e questo rende ancora più gradevole il soggiorno.
Perché andare in una Comunità Alloggio per anziani?
Perché, anche se la persona non necessita di ricovero, può tuttavia trovarsi in una situazione esistenziale difficoltosa, come la non piena autonomia o la solitudine, che non è di certo una buona compagna. Allora, in strutture residenziali di questo tipo la persona ha la possibilità di coltivare contatti umani e di essere coinvolta dagli operatori in attività piacevoli, senza sentirsi ospedalizzata. Infatti, alla Comunità Alloggio afferisce personale sanitario (in genere infermieri, ma, a necessità, anche medici, che si recano periodicamente ad effettuare visite e somministrare cure e terapie), ma anche personale socio/assistenziale, oltre al personale ausiliario che si fa carico di quelle pulizie che alcuni anziani non sono più in grado di fare. E così troviamo assistenti sociali, educatori, talvolta psicologi, che si occupano della persona nella sua interezza. Vengono organizzate uscite nel territorio, per non perdere il contatto con il mondo esterno, per poter fruire di momenti ricreativi, ma anche culturali (una visita a un museo, a una mostra o la visione di un film al cinema o di uno spettacolo teatrale, ad esempio). Ma, all’interno della struttura, vengono pianificate e realizzate anche attività giornaliere che occupano il tempo degli anziani in maniera positiva e costruttiva, ad esempio cineforum, letture collettive, giochi, balli, laboratori artistici come la pittura, il canto, il giardinaggio e via discorrendo. Il tutto in un contesto protetto, dove l’anziano sa che in caso di necessità, di giorno come di notte, può chiedere aiuto e assistenza. In questo modo la persona anziana può dedicarsi alle attività che preferisce e sentire che la propria vita ha ancora un senso.

Eleonora Castellano, docente e psicologa

(Tutti i diritti riservati©) www.eleonoracastellano.com 

L'indifferenza e l'egoismo

immagine tratta da La Repubblica

A Manduria un uomo fragile è stato preso di mira, lo spettacolo vigliacco dei bulli ancora una volta è andato in scena nell'indifferenza generale. Possibile che nessuno dei vicini si sia preso la briga di chiamare i Carabinieri con urgenza visto che le violenze andavano avanti da tempo? E intanto il pover'uomo è morto all'ospedale dopo giorni di agonia.
Fuori dal caso singolo, l'indifferenza è la causa di tutto, il non curarsi dei problemi dell'altro, e non si tratta di paura perché le denunce si possono fare anonimamente senza esporsi in prima persona, ma di insensibilità, di egoismo. Si pensa solo a sé stessi e dell'altro non ci si cura. Mi è capitato tempo fa di essere su un autobus e nonostante i pochi posti a sedere sono rimasta in piedi in prossimità dell'uscita per lasciare il posto a chi non riesce a stare in piedi. Quella mattina, complice il tempo soleggiato, ho deciso di portare con me una borsa di paglia aperta con una cerniera interna che però custodisce gli effetti personali. Giunti in prossimità di una fermata, si avvicina a me un ragazzo che senza molto abilità infila la mano nella mia borsa alla ricerca del portafogli, la sua inesperienza nell'arte dello scippo mi ha permesso di tirare a me con una mossa decisa la borsetta e di impedire il furto. Tutto si è svolto in pochi secondi anche la sua fuga approfittando della sosta del mezzo ed io spaventata ed arrabbiata mi sono seduta imprecando al suo indirizzo. Credete che qualcuno si sia scomodato a dirmi una parola di conforto? No. tutti i passeggeri sono rimati al loro posto: chi guardava fuori del finestrino come se ci fosse un bellissimo paesaggio da ammirare, chi consultava il proprio telefono, chi ascoltava musica.
Chi se importa se la stavano scippando, tanto non è successo a me.
Maria Giovanna Farina

Vorrei tanto un cane, ma il mio condominio lo vieta

Purtroppo nel nostro ordinamento non esiste il diritto, espressamente codificato, a possedere un cane o un altro animale, anche se non sarebbe una forzatura far ricadere tale diritto nelle disposizioni dell'art. 2 della Costituzione, relativo alla tutela dei diritti dell'uomo, della sua personalità e vita sociale. In mancanza di tale tutela a volte l'intolleranza di chi non ama gli animali porta a istituire regole illegittime che si trasformano in veri e propri soprusi nei confronti dei nostri amici a quattro zampe e dei loro padroni. È così che ci sono arrivate delle segnalazioni di persone che vorrebbero avere un cane o un gatto, consapevoli che tale compagnia potrebbe migliorare la loro vita, ma non ne adottano uno perché il regolamento del condominio in cui vivono lo vieta. Su tale tema si è espressa la Corte di Cassazione, con la sentenza del 15 febbraio 2011, n. 3705, che ha dato ragione ai padroni di animali. Pur non argomentando in favore di un diritto a possedere un cane, che nel nostro ordinamento, come detto, non esiste, la Corte ha giustificato la propria decisione collegandosi al diritto di proprietà e alle facoltà ad esso connesse. Il diritto di proprietà, essendo esclusivo del singolo condomino, non può subire delle limitazioni dettate dai regolamenti condominiali, che sono approvati a maggioranza dei partecipanti e non all'unanimità. Le disposizioni che prevedono il divieto di tenere nel proprio appartamento un animale domestico devono essere considerate come delle reciproche servitù sulle rispettive proprietà esclusive dei singoli condomini e, in quanto tali, hanno natura di tipo contrattuale, possono essere approvate e modificate soltanto con il consenso unanime dei comproprietari. Ne consegue che anche con il dissenso di un solo condomino, il divieto di tenere animali domestici nella propria abitazione non può essere inserito nel regolamento di condominio o non può essere mantenuto nel caso sia già presente. Gli altri condomini o l'amministratore, quindi, non possono impedirvi di avere un cane in casa. Tuttavia, soprattutto se avete un cane, non dimenticatevi del divieto di nuocere o recare molestia agli altri, utilizzate le basilari regole del vivere civile che impongono di assicurarsi che il cane non abbai di notte o quando non siete in casa e di pulire immediatamente nel caso in cui il cane sporchi accidentalmente una parte comune dell'edificio o una parte, anche privata, dalla quale possano propagarsi odori sgradevoli e disturbare così gli altri condomini. Il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo detti regolamenti importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei singoli condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente.
Ciò in quanto le disposizioni che prevedono tale divieto incidono sui diritti dei singoli condomini, venendo a costituire una servitù reciproca sulle rispettive proprietà esclusive. Pertanto esse hanno natura contrattuale e possono essere approvate e modificate soltanto con il consenso unanime dei comproprietari.  
Alessandro Bonfanti, dottore in Giurisprudenza

LA SENTENZA

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 15 febbraio 2011, n. 3705
Ciò posto, il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo detti regolamenti importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva (12028/1993)

WRITERS, GRAFFITARI, ARTISTI, VANDALI, INCOMPRESI, IMBECILLI


Che i muri delle nostre città e non solo quelli, siano diventati lavagne alla mercé di chiunque voglia sfogarsi è un dato di fatto, chi siano invece coloro che si sfogano sui muri è meno evidente. Si dice sempre che non si debba fare d’ogni erba un fascio ed è giusto che sia così, quindi anche in questo caso è bene non generalizzare.
Il fenomeno non è nuovo, un tempo, quand’ero ragazzino i muri recavano scritte fatte col gesso, quando c’era, oppure con i pezzi di mattoni rossi trovati in giro per le strade; il loro significato era immediato: viva milan, viva inter, abbasso questo o quello o meglio ancora viva la figa. Bei tempi! Ora le cose sono cambiate, non si scrive più col gesso ma con le costose bombolette spray e le scritte son per lo più incomprensibili ai più, ma molto chiare a chi le deve capire: forme, loghi che rappresentano qualcuno, che lo identificano e fanno dire “guarda che bravo, dov’è riuscito a scrivere”. Ma andiamo con ordine, questi ultimi rappresentano solo una categoria, quella degli incompresi e frustrati con la sottospecie degli imbecilli, cioè coloro che imitano imbrattando senza neppure sapere cosa fanno, credono che siano solo sgorbi fini a se stessi e per questi c’è solo la speranza che crescendo, magari con l’aiuto di un buon educatore, migliorino. I primi, invece, quelli appartenenti alla categoria degli incompresi, hanno avuto un’infanzia difficile, non potevano neppure fare la pupù dove volevano che subito qualcuno glielo proibiva, fosse solo quello, erano pure ignorati dai genitori troppo presi a lavorare com’erano. Ora finalmente possono imbrattare tutti i muri che vogliono e ci lasciano pure la firma come per dire: guardate, sono io, esisto! Diciamo che per questi un buon educatore non sarebbe sufficiente, avrebbero bisogno di un buon analista, poveri ragazzi. Poi ci sono i vandali per i quali tutto va bene, l’importante è lordare e distruggere, anche questo è un modo, seppure molto puerile e primitivo, per dimostrare la propria esistenza in mancanza di altre qualità. Costoro non si accontentano dei muri ma lordano i cartelli stradali, le piantine della metropolitana e tutto ciò che gli capita a tiro. Direi che per essi sarebbe utile il dantesco contrappasso per analogia. Rimangono i writers, i graffitari e gli artisti. I writers, ossia quelli che scrivono qualcosa dal contenuto intelligibile segnano il limite di demarcazione, una sorta di spartiacque tra quelli bisognosi di un trattamento ri-educativo e l’inizio di chi possiede un certo senso artistico; potrebbero rappresentare una sorta di limbo. Le ultime due categorie, graffitari e artisti, in realtà vicini idealmente, si distanziano dalle precedenti in quanto non si limitano a coprire i muri ed altre superfici idonee con le loro opere, ma, per esprimere la loro presenza su questo mondo estrinsecano sentimenti e sensazioni più vicini al senso comune di arte: sono gli autori dei murales, si ispirano alla graffiti-art, il movimento artistico nato negli anni ’80 negli Stati Uniti e tra questi bisogna riconoscere che ci sono dei veri artisti. Questo breve excursus nel mondo dei consumatori a go go di bombolette spray credo possa rispondere, almeno in parte, a coloro i quali si chiedono il senso delle scritte, dei disegni e degli scarabocchi; la speranza è che questa riflessione possa essere utile per un cammino verso una maggiore sensibilizzazione fautrice di un rapporto più civile con la Res Pubblica.


Max Bonfanti, filosofo analista
(Tutti i diritti riservati©)

Il sistema uomo


Disegno a matita di Flavio Lappo
In ogni oggetto animato o inanimato si possono avere due visioni: una visione meccanicista che si limita alla considerazione della semplice somma delle parti ed un’altra più completa, quella olistica, che concepisce le singole parti collegate tra loro in un insieme organizzato. Se a quest’ultima visione aggiungiamo il contesto in cui l’oggetto opera avremo una visione sistemica. La filosofia a differenza della psicoanalisi, che considera principalmente la parte mentale della persona, ha una visione sistemica dell’uomo. C’è un ritorno ad Ippocrate, quello del famoso giuramento, che curava il malato e non la malattia. Cosa significa curare il malato e non la malattia? Significa che ognuno, prima di essere malato è una persona con un sesso, un’identità sessuale, un’età mentale ed una fisiologica, esercita una attività, ha degli hobby, delle allergie, delle preferenze, può essere sposato oppure no, appartiene ad una cultura o ad un ceto sociale anziché ad un altro. Curare la malattia senza tenere conto di questi parametri sarebbe come costruire un veicolo molto speciale senza tenere conto in quale contesto verrà poi impiegato.
È evidente che nessun costruttore farebbe una cosa simile eppure, il più delle volte, quando si tratta di curare una persona ci si limita a curare la malattia senza preoccuparsi che non sempre la stessa cura è adatta per la stessa malattia. Prima di occuparsi della malattia sarebbe opportuno scoprire e se è possibile, eliminare le cause che l’hanno provocata altrimenti sarebbe come entrare in un appartamento allagato ed attivare procedure di soccorso senza prima individuare e bloccare l’immissione dell’acqua. L’analisi attenta ed accurata dell’oggetto inserito in un contesto sono alla base dell’analisi filosofica. “L’essere nel mondo” espressione cara a Ludwig Binswanger, fondatore dell’analisi esistenziale, psichiatra e filosofo del secolo scorso, è l’uomo con tutta una rete di legami visibili e non che si intrecciano fino a creare, in tempi più recenti, una teoria, comprovata da un esperimento ed esposta sulla rivista Science nell’ agosto del 2006, che in media sono sufficienti solamente sei passaggi per collegare due persone scelte a caso fra gli abitanti del globo. Il sistema uomo è un insieme di sistemi che ha come unità l’uomo. Una volta acquisita questa nozione appare più chiaro come possano esistere certi fenomeni quali il contagio emotivo, la telepatia e riuscire con soli sei passaggi a collegare una persona dell’Alaska ad un’altra in Tasmania.
Imparare a considerare l’uomo in un contesto globale e non come un singolo elemento a sé stante, aiuta a comprendere meglio l’uomo stesso e a scoprire le discrasie comunicazionali causa di malessere e malintesi.

Max Bonfanti, filosofo analista


I social media: croce e delizia della nostra vita


I social media sono ormai diventati croce e delizia per buona parte della popolazione mondiale. Da un lato si prestano a essere efficienti strumenti di comunicazione e consentono in maniera rapida di connettersi con persone e istituzioni di ogni parte del mondo. Alcuni di essi, ad esempio Twitter, sono principalmente usati come mezzo di comunicazione istituzionale e pubblica; altri, come Instagram e Facebook, sono per lo più usati a scopo personale. Altri ancora, come WhatsApp, si prestano a usi misti, sia professionali che privati. Dall'altro lato, ciò che li accomuna trasversalmente, e questo è il risvolto della medaglia, è il fatto che molti soggetti tendono ad abusare di strumenti che, in sé, sarebbero utili e, spesso, gradevoli.
Negli ultimi anni sono drasticamente aumentati i casi di dipendenza patologica dai social e sono in incremento anche le separazioni e i divorzi a causa dei tradimenti virtuali, che talvolta sfociano in tradimenti fisici veri e propri. La costante sollecitazione alla comunicazione, la tendenza a personalizzare e approfondire le conoscenze con i propri contatti e gli stimoli di ogni tipo che pervadono la rete continuano a mietere le loro vittime.
Il senso originario dei social è in effetti la socializzazione e la conseguente comunicazione globale. Come per tutti gli altri campi, l'equilibrio e la moderazione sono la scelta migliore. Peccato che questo buon senso si stia perdendo. E allora assistiamo a coppie che scoppiano perché il partner s'intrattiene in conversazioni confidenziali, a tutte le ore del giorno e della notte, con altri, trascurando l'altro/a, la famiglia, gli amici veri, insomma le persone realmente importanti per sé. Stiamo andando nella direzione di un mondo dove i rapporti virtuali soppianteranno quelli reali, dove la gente troverà normale considerare il cellulare il proprio miglior amico? È questo il mondo che vogliamo per noi e per i nostri figli? Io non nascondo la mia preoccupazione e le mie perplessità. Tra l'altro, in tanti mostrano di non riconoscere quanto tutto ciò sia poco sano.
Chi entra nel giro della connessione perenne perde man mano la capacità di giudizio critico. Spesso nega di trascorrere ore sui social e di vivere la giornata in funzione del momento in cui collegarsi. Questo è tipico, ad esempio, delle personalità narcisistiche, persone che vivono un vuoto, un'insicurezza, e la colmano trovando saldi punti di riferimento in ambienti virtuali, che gli rimandano un'immagine di sé più attraente e desiderabile. Abusare dei social può essere quindi un modo per ricercare sicurezza, compagnia e stabilità.
Senza mettere alla gogna uno strumento che, se usato con intelligenza e moderazione, può essere fonte di svago, di divertimento, ma anche di promozione di sé e delle proprie attività, bisogna però tenere alta l'attenzione e il livello di allarme. Perché noi desideriamo ancora che i nostri figli mettano via quel cellulare, di tanto in tanto, e vadano a giocare a pallone; perché speriamo di connettere la mente al corpo e di non lasciarla volteggiare costantemente da un'altra parte, dimenticandoci di chi ci sta accanto; perché abbiamo voglia di sentire la voce dei nostri amici per metterci d'accordo per una pizza tutti insieme; perché, in definitiva, ci colpisce ancora un messaggio privato ed esclusivo del nostro uomo, pensato e scritto solo per noi, piuttosto che un post pubblico a uso e consumo di tutti. Perché un saluto virtuale fa sempre piacere, ma un abbraccio vero è, e spero lo sarà sempre, tutta un'altra cosa.


Eleonora Castellano, docente e psicologa

Gli stupratori sono vigliacchi

VIOLENZE E SENTENZE



Le violenze sessuali nei confronti delle donne sono raddoppiate. C’è da chiedersi quale sia il motivo e imputare tale fenomeno alla facile impunità dà da pensare. Naturalmente bisogna sempre aspettare di leggere le motivazioni di tante discutibili sentenze, ma anche queste, si sa, hanno immancabilmente un loro motivo di validità ed è per questo che esistono gli avvocati. Tralasciando certi particolari è però un dato di fatto che le donne uccise e violentate non siano sufficientemente tutelate.
Recentemente le pene per avere ucciso la propria compagna sono state dimezzate agli imputati a causa del loro comprensibile turbato stato emotivo. Tutto ciò in odore del passato delitto d’onore. In questi giorni la Cassazione ha inaspettatamente annullato l’assoluzione per due violentatori ritenendo inammissibile la motivazione che li aveva portati al proscioglimento: la vittima non era sufficientemente appetibile per essere violentata. Sentenza questa che oltre a rappresentare una totale mancanza di sensibilità nei confronti della donna denota un’abissale ignoranza in campo sessuale. Probabilmente a chi ha emesso tale inammissibile sentenza è sfuggito che spesso sono proprio le donne con problemi fisici e mentali, anche solo temporanei, ad essere più facilmente aggredite sessualmente poiché il comune denominatore degli stupratori è la vigliaccheria. Per non parlare degli stupri post mortem e della infinita varietà di rapporti sessuali strappati nei modi più crudeli e svariati. Penso che sentenze assolutorie del genere non dovrebbero neppure essere immaginate e vederle addirittura deliberate indica che forse nella magistratura operano persone non in grado di svolgere il lavoro per il quale sono pagate. Un non tanto velato ritorno al Medioevo aleggia sulle nostre teste e di questo passo non mi stupirei se qualche, a proprio giudizio, irreprensibile giudice emettesse sentenza di stregoneria nei confronti di una vittima di stupro. 
Max Bonfanti, filosofo analista

ORECCHIE DA MERCANTE


Chissà quante volte avrete sentito dire, riferendosi a qualcuno non molto solerte, fa “le orecchie da mercante” per dire che non ascolta, che le parole gli entrano da un orecchio ed escono dall’altro, ebbene solitamente accade nei casi un cui gli si chiede di fare qualche lavoro che, per i più svariati motivi, non intende eseguire eppure accade spesso che le orecchie da mercante si facciano anche in situazioni in cui ascoltare e mettere in pratica ciò che viene detto farebbe molto bene alla salute. Mi riferisco a tutti quei suggerimenti relativi a comportamenti che non esito a definire autolesionisti come il fumare, fare il bagno durante la digestione, nutrirsi di cibo spazzatura come prodotti contenenti certi oli vegetali quali di palma, di colza ed altri una volta usati per scopi non alimentari. Perché non si dà ascolto? I motivi sono più d’uno e il primo è che mettere in pratica certi suggerimenti come per esempio controllare quello che si introduce nel nostro organismo è faticoso, implica informarsi, leggere e perché no fare anche delle rinunce nei confronti di sostanze che si è abituati a consumare da sempre. Secondo, se li vendono vuol dire che non fanno male e quindi perché privarsene? Terzo se la pubblicità li esalta come ottimi non c’è motivo per eliminarli. Quarto e non ultimo, se si dovesse eliminare tutto quello che fa male non si mangerebbe più niente. In poche parole tanto vale continuare ad avvelenarsi e ingrassare quelli che con il tabacco, gli oli di palma e tante altre schifezze hanno creato un impero alla faccia di quelli che fanno orecchie da mercante

Max Bonfanti, filosofo analista


Utero in affitto: in difesa dei bambini


Una donna di sessantuno anni dona il proprio corpo per far nascere un bambino da donare al proprio figlio gay: torna in primo piano il tema dell'utero in affitto che ancora una volta dicotomizza la destra e la sinistra. Basta con queste prese di posizione che sono un attentato al vivere civile e non aiutano la convivenza! È sufficiente un pizzico di ragione e di sensibilità verso i bambini per dissentire dalla pratica dell'affitto dell'utero. Anni e anni di pedagogia e psicologia ci insegnano l’importanza della figura materna che a volte, è vero, può essere una persona negativa, pensiamo a Melania Klein e alla sua teoria della mamma buona e cattiva: la mamma non è sempre disponibile e il neonato si crea un senso di realtà comprendendo che c’è il buono e il cattivo, questo è ciò che serve alla crescita. Ma deprivare a priori un essere vivente della mamma è un gesto che non possiamo permettere. Credo si possa trovare un punto di unione tra credenti, atei e agnostici e su questo punto desidero una presa di posizione delle donne unite in una battaglia in difesa dell'infanzia al di là del proprio credo. Si può dialogare anche su questo argomento. Ricordo infine che ci sono tanti bambini da adottare capaci di diventare figli da amare anche se non generati con i propri semi.

Maria Giovanna Farina

Un contributo filosofico per un progetto urbanistico


Ascoltando i dibattiti contemporanei ci si accorge di come spesso un programma di riqualificazione architettonica e infrastrutturale che comprenda lo sviluppo di spazi comuni e di attenzione verso quello che di recente viene definito il “capitale naturale”, venga considerato un lusso urbanistico e non una priorità.
Occorre riflettere sul fatto che le priorità stesse, per emergere, necessitano di occasioni di conoscenza e di bellezza. Perfino i bisogni insostituibili non verranno riconosciuti laddove non saranno mai stati esperiti.
Proporre politiche di inclusione responsabile in armonia con gli spazi verdi, l’urgenza di una pianificazione urbana che rispetti la connessione essenziale con la natura non è una velleità romantica o un afflato poetico ma un’esigenza fondata ontologicamente. Cioè non è stata decisa arbitrariamente ma posta dall’Essere che scorre nelle molteplicità.
Le ricerche sociali e antropologiche correnti si riferiscono con disinvoltura alle opportunità sociali, di genere, tuttavia non tengono in considerazione quelle che potremmo definire le “opportunità ambientali”: sebbene la qualità della vita sociale, culturale, emotiva, dipenda strettamente dalla fruibilità delle reti di collegamento ai giardini pubblici, dalle geografie urbane, e da servizi che diano maggior valore al tempo.
L’obiettivo di una maggior inclusione sia generazionale-verticale che orizzontale-etnica non può svilupparsi in un clima di degrado abitativo e cementificazione incontrollata.
L’arte è la mano destra della natura” scriveva Schiller e l’accessibilità dell’arte e alle attività all’aria aperta, delle aree museali come delle piste ciclabili ad esempio, necessita di luoghi agibili, spazi di partecipazione sociale, non di sovraffollamento anonimo come nell’ennesimo, per quanto talvolta comodo, centro commerciale.
Aristotele nel I libro della metafisica ci parla della Meraviglia; uno stato di stupore che ci coglie magari mentre camminiamo lungo un viale alberato.
Gli appartenenti alla sua scuola filosofica vennero chiamati peripatetici (dal greco peripatetikos, camminare) per via dell’abitudine di discorrere passeggiando; un’andatura meditativa, che apriva il respiro e rischiarava le menti. Certo, sarebbe un anacronismo ingenuo auspicare una regressione ambientale anche solo a un secolo fa, ma possiamo invece proporre una città più verde, per un adattamento antropico più consapevole e coerente con le competenze attuali dei cittadini, e la vita degli animali e delle piante, nelle metropoli come nei piccoli paesi. Non si tratta di fare spazio alla natura, come fosse una magnanima concessione, e neppure solo di cogliere l’emergenza sopravvivenziale delle risorse in esaurimento, ma di recuperare il legame nell’anima (sì, proprio così) dell’esistenza terrestre.

Galilei nel suo trattato Il Saggiatore asseriva che l’universo è scritto in lingua matematica e i suoi caratteri sono le forme geometriche, dunque prima che un generico quanto opinabile “buon gusto”, è la sintassi figurativa con cui è stato concepito il cosmo a darsi attraverso geometrie proporzionate che siamo chiamati a riproporre nelle nostre architetture. Una metrica paesaggistica, un ritmo visivo di convivenza, non di sopruso, che inviti alla cooperazione.
Ormai la fisica moderna sta riscoprendo e confermando la forza energetica emanata dalle forme. Il disegno civico realizzato dagli edifici condiziona il sentimento comunitario o piuttosto la chiusura individualista. Un piano strutturale che non sia fondato su un abitare “colonizzatore”, ma un abitare di collaborazione, forgia prospettive più ampie per il futuro umano e della Terra.

L’educazione alla biodiversità, dal riccio del prato al gabbiano del fiume, non è solo passione zoologica ma è formazione etica all’Alterità, all’altro, il non-io. Il pipistrello che mangia zanzare, il lombrico che smuove il fango per dare nuova linfa radici, così da attivare il processo di impollinazione che ci fornisce aria respirabile, sono la fondazione effettiva di ogni piano regolatore.
L’ aura cromatica del verde fogliame, l’ossigeno culturale profuso dalla flora e fauna di una villa, la fotosintesi non è solo una funzione ecologica ma il paradigma dello scambio continuo che ciascuno partecipa con tutto il resto.
Il parco non ci insegna solo l’ ecologia, la dipendenza sistemico-ambientale ma una condizione che ha un’origine profonda e spirituale.
Una “Metafisica della mescolanza” esibita dall’intelligenza vegetale, perché “le piante non intrattengono alcuna relazione selettiva con quanto le circonda: sono, e non posso che essere, costantemente esposte alla realtà limitrofa. La vita vegetale è la vita in quanto esposizione integrale, in continuità assoluta e in comunione totale con l’ambiente. (…) l’assenza di movimento non è che il rovescio dell’adesione integrale al loro ambiente e a quanto succede loro”1.Piante e animali ci mostrano altri modi di percepire e di stare al mondo, per questo ci insegnano che c’è spazio per innumerevoli modi di abitare.


Sembra di notare come l’uomo si senta al contempo imbrigliato e affascinato de questo immenso genitore cosmico che è la natura, un po’ come se non sapesse come pensarsi rispetto ad essa ma sentisse di doversi porre nei termini di una qualche distinzione. Come se non sapesse escludersi o piuttosto includersi nell’immenso, archetipico, magico significato di “natura”. Non ha focalizzato se si percepisce fagocitato da una dimensione indomabile o rapito dal suo mistero insondabile.
Insomma se il nostro rapporto con la natura sia un delirante disconoscimento, un fiero trascendimento oppure una (sedicente?) fatale rottura.
In Dialettica dell’illuminismo i due autori tedeschi della scuola di Francoforte scrivono “Dominare senza fine la natura, trasformare il cosmo in un immenso territorio di caccia, è stato il sogno dei millenni: a cui si conformava l’idea dell’uomo nella società virile. (…) La donna era più piccola e più debole, fra lei e l’uomo sussisteva una differenza che essa non poteva superare (…)”2.Certamente anche una pedagogia della coesistenza di specie animali e vegetali educa alla cooperazione e all’alleanza reciproca tra maschile e femminile.
Secondo questi due filosofi, l’aurora dell’Illuminismo non risale al Settecento, bensì inizia addirittura in epoca omerica! L’illuminismo si annuncia con l’illusione di dominio sulla natura, già con la negazione dell’animismo a favore della credenza negli dei greci. L’umanità avrebbe intrapreso un percorso di presunta civilizzazione nel quale non ha saputo integrare le capacità peculiari della propria specie con gli istinti e le pulsioni. Per questo, metaforicamente, Ulisse si fa legare a un palo della nave, per non lasciarsi sedurre dal richiamo della natura rappresentata delle sirene, donne ibridate con pesci, (le specie animali che infatti sentiamo più lontane e diverse da noi), per traghettare invece l’umanità verso un livello superiore, che si libera dell’animalità e si differenzia dai “bruti”.

L’uomo è un animale bipede e ingrato” scriveva caustico e amaro Dostoevskij in Memorie dal sottosuolo, ma questa nostra bizzarra specie ammette anche la possibilità di superare sé stessa perché riflette sulla propria condizione, implodendo in quell’enigma concettualmente tautologico che chiamiamo coscienza.
Inoltre i progetti di urbanizzazione sostenibile ci mettono in risonanza con il concetto di creazione cioè della materia come manifestazione viva. Una visione del mondo e anche della città come creazione non necessariamente legata a un’appartenenza religiosa, ma che sia ricettiva a un senso del sacro, al miracolo in atto. Anche la città è creazione, opera dell’uomo, atto di fondazione collettiva delle persone. Creazione della comunità che instaura le sue leggi e si associa in virtù del benessere e della crescita.

La città può imparare a includere le forze momentaneamente passive e ad innescare un circuito virtuoso dei rifiuti, che sono già risorse.
La pestilenza globale della spazzatura senza riciclo, che ha come vessillo mortifero la piaga della plastica, è l’immagine della sfiducia umana nella logica funzionale della riconversione e dell’intelligenza della trasformazione che la terra agisce, logica che non solo fonda l’intelletto vitale del pianeta ma da cui scaturisce. Il celebre sociologo polacco Bauman, descriveva il nostro tempo quale epoca dell’indignazione senza progettualità; sappiamo polemizzare a lungo su ciò che non vogliamo ma senza avanzare propositi ponderati ed efficaci di miglioramento.
Probabilmente non siamo all’alba di una società utopica come quella postulata dal domenicano e filosofo Campanella nella sua “Città del Sole” ma vediamo all’orizzonte una città rasserenata da una luce più accogliente.

1 Emanuele Coccia, La vita delle piante-Metafisica della mescolanza-, Il Mulino, Bologna, 2018, p.12-13.
2 M. Horkheimer, T. W, Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 2010, p.265.

Giulia Bertotto, consulente filosofico

In difesa dei deboli


In ogni persona convivono due parti: maschile e femminile, nell’infanzia sono meno distinguibili, da qui la definizione di Freud sui bambini che li ritiene polimorfi e perversi, con la crescita le due parti tendono a differenziarsi e prevale quella relativa al sesso di appartenenza. Ciò che poi rafforza la parte prevalente è l’educazione, i retaggi con tutti i loro luoghi comuni e gli stereotipi. Da qui, il maschio che deve essere macho, non deve piangere, deve essere forte etc. e la femmina che può piangere, che deve essere sempre gentile e, soprattutto in certe culture prettamente maschiliste, sottomessa al maschio e deve chiudere un occhio sulle scappatelle del partner, scappatelle quindi che a lui son permesse e a lei no, pena essere considerata poco seria se non gravemente colpevole di reato e punibile con la morte, sempre in certe culture fortemente maschiliste, mentre per il maschio diventa motivo di vanto.
Tutti siamo stati bambini e tutti abbiamo avuto tendenze sessuali omosessuali anche se, soprattutto i maschi, pur se nel loro intimo lo riconoscono, negano fermamente di averne mai avute. Ora non dico di mettersi nei panni degli altri, cosa estremamente difficile se non impossibile, ma quando abbiamo a che fare con persone dell’altro sesso e mi rivolgo soprattutto ai maschi e a quelle donne che con i loro comportamenti omertosi e a volte maschilisti non aiutano lo smantellamento di una certa mentalità: ricordiamoci di quando eravamo bambini, deboli e indifesi, come vedevamo i prevaricatori, i violenti, i prepotenti. Sarebbe sufficiente ricordarci e immedesimarci in ciò che eravamo un tempo per avere maggiore comprensione degli altri, in particolar modo delle donne, dei bambini e di tutti i più deboli.

Max Bonfanti, filosofo analista


Quando il giardinaggio è una cura


Conoscete una pianta di nome Rhipsalis? Come no? guardate la sua fotografia;  se tutto va bene ne avete o ne avete avuta una sul balcone o in casa, ma in ogni caso l'avete vista.
Come cita il dizionario:
    "Rhipsalis è un genere di pianta che appartiene alle succulente, appartenenti alla famiglia delle Cactaceae, il cui nome deriva dal greco 'rhips' a significare la struttura della pianta simile al vimini, con steli stretti flessibili che si intrecciano. Rhipsalis è un genere di piante che conta una quarantina di specie originarie delle zone tropicali"... e tra queste c'è quella che forse voi chiamate "lingua di suocera."
Questa bella cactacea non ha bisogno di molto, si lascia curare facilmente: acqua, temperatura media  e un po' di concime specifico, ma possiede  delle proprietà che aiutano ad abbassare notevolmente il livello di stress solo con la sua presenza. Gli studiosi di non so quale università inglese, l'hanno valutata con attenzione; negli articoli non spiegano quale è il suo reale effetto, ma sono certi che aiuti a tranquillizzare gli animi. Ma noi perché parliamo di piante? Perché finalmente è arrivata la stagione in cui ci si può dedicare al verde(anche in cromoterapia il verde rilassa) per ottenere grandi benefici. Non vogliamo solo ricordare che la garden terapy è da anni stata introdotta nelle case di cura per persone affette da disagi di vario tipo, ma ci vogliamo fermare a noi. Noi che siamo sempre di corsa, sempre sulla corda e vorremmo ogni tanto trovare qualcosa di poco impegnativo, ma di grande effetto. In Italia si stima che più del 50% della popolazione ami curare il verde ed anche le amministrazioni più avvedute, creano spazi per le persone in età che così hanno un passatempo gratificante. Questo qualcosa vorrà dire, no? C'è chi è più fortunato ad avere un pezzo di giardino, un orto, chi un bel terrazzo, ma anche chi ha solo una mensola del soggiorno o un davanzale, può mettere in pratica la garden terapia, perché basta davvero poco. Ma vediamo cosa succede: curare il verde combatte la depressione, stabilizza l’umore, mette in pace con se stessi. E' una cura per l'anima, perché svuota la mente dai pensieri inquietanti, dalle tristezze e ci avvicina alle emozioni; ed è una cura per il corpo, perché abbassa la pressione e regolarizza il battito cardiaco. Come avviene questo? I meccanismi sono semplici. Intanto ci si deve prender cura di qualcosa al di fuori di noi e questo sempre è un bene. Basta pensare a noi, basta pensare sempre ai nostri successi o insuccessi. Se accudiamo una pianta, siamo costretti a seguire  ritmi e le leggi della natura: non siamo onnipotenti, c'è sicuramente qualcosa che ci può guidare, condurre per mano e se ci abbandoniamo a leggi soprannaturali avvertiamo subito un senso di sicurezza. C’è anche un pensiero filosofico nell’arte del verde, un insegnamento... Può ad esempio succedere che seminiamo un fiore, lo curiamo, ed ecco che un temporale lo distrugge. Questa è una lezione importante: non siamo onnipotenti, anzi, impariamo a subire vittorie e sconfitte, cosa che spesso nella vita non sappiamo accettare. Ma il giardinaggio è anche il tempo dell'attesa; si impara a non volere tutto e subito. Per una impaziente come me, non nascondo che spesso è una sofferenza aspettare che un fiore sbocci dopo giorni e giorni. Ma così deve essere e la natura ci è maestra. Quanta soddisfazione però, poi, allo sbocciare della corolla tanto attesa! Quale emozione cogliere un frutto anche da un piccolo alberello in terrazza! Vuoi mettere il sapore di quell’unica zucchina nata nel vaso sul tuo terrazzo? Attesa, quindi, ma anche verifica delle nostre capacità di fare, e se serve rifare. Perché se tutto non va come vorremmo, potremmo essere costretti a ripiantare e ripiantare e ripiantare. Come dire che anche nella vita, nonostante le sconfitte, dobbiamo alzarci e riprovarci, sempre. Ma torniamo al fatto che il giardinaggio e certe piante in modo particolare fanno bene all'anima. Un pomeriggio chini sulla terra, che notoriamente è bassa, come dicevano i nostri vecchi, porterà sicuramente un bel mal di schiena, qualche callo alle mani, ma una mente libera da preoccupazioni, pensieri negativi e quant'altro. Che certamente domani torneranno, ma queste ore hanno dato un po' di respiro alla nostra anima affaticata. Non è risaputo che chi vive in campagna, all'aperto, gode di una serenità maggiore rispetto a chi vive in una metropoli o, ormai, anche nella nostra provincia? Mettiamoci all’opera quindi, basta anche solo un vaso di terra, qualche seme, qualche fiore e tanta buona volontà. Se proprio non abbiamo il pollice verde o il tempo necessario, ma al contrario tanti impegni e tanto stress, ricordiamoci di fare una capatina al garden più vicino. Lì c’è sicuramente la nostra  Rhipsalis  che ci aspetta. 
Giuliana Pedroli, giornalista Tutti i diritti riservati©