Mela d'oro a Cristiana Pegoraro

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22 giugno 2019, la pianista e compositrice Cristiana Pegoraro ha ricevuto il premio Marisa Bellisario, la mela d'oro come riconoscimento alle eccellenze femminili. Un grande emozione anche per me che ho il piacere di conoscerla e di averla intervistata nove anni fa per la prima volta su L'accento di Socrate a cui ne sono seguite altre su diverse riviste. Riporto di seguito quella del 2010.

Da L'accento di Socrate

Cristiana Pegoraro è una pianista di fama mondiale, un’italiana che si è fatta conoscere ed apprezzare nell’esecuzione e nella composizione musicale. Eclettica e creativa, di formazione classica, si lascia ispirare anche dalla sensualità del tango argentino. Rappresentante di un femminile produttivo ed elegante, ho avuto il piacere di intervistarla per inserirla nel nostro laboratorio filosofico come modello ideale per le nuove generazioni. La musica, diceva il filosofo Arthur Schopenhauer, viene compresa ovunque: essa è l’unica vera lingua universale. Se poi la musica è così elevata come quella di Cristiana Pegoraro….
D. Quando ha toccato i tasti per la prima volta?
R. Ho iniziato a quattro anni all'asilo, avevamo un'insegnate di musica come tutti i bambini. Poi mi sono molto appassionata e a cinque anni mia mamma mi ha chiesto se volevo studiare seriamente, così mi ha portato da un'insegnante privata ed è stata una bellissima cosa perché io ero molto appassionata da subito
D. Ce l'aveva proprio dentro di sé
R. Assolutamente sì. Mi ricordo quando portarono a casa il primo pianoforte verticale, ebbi una crisi di pianto, di riso, di gioia, mi rotolavo per terra: per me questo pianoforte era una cosa bellissima, era arrivato e potevo suonare
D. Era quasi un destino per lei
R. Veramente!
D Lei, Cristiana, si sarà fatta aspettative da giovane diplomata, in che misura si sono realizzate?
R. Ho iniziato a suonare e per me era la cosa più normale del mondo, io suonavo e studiavo e a volte i miei genitori mi dicevano di non studiare così tanto ma di fare anche altre cose. Ma io ero lì appiccicata al pianoforte e mi sentivo molto bene. Finché uno è bambino non si pone la domanda “Dove andrò con questo?”, io volevo suonare: punto. A dieci anni ero sicura che volevo fare la pianista, sono entrata in conservatorio ed ho iniziato a fare i primi concerti senza avere delle mete da raggiungere: volevo suonare, volevo far concerti. Diciamo che tutto ciò si è poi realizzato, sono estremamente fortunata perché non insegno, ma vivo di concerti, mi sposto da città a città e svolgo la libera professione. Con gli anni pian piano di mete se ne sono create sempre di più perché uno tende a sviluppare la propria carriera, sempre una carriera in crescita alla ricerca di nuove esperienze musicali. Essere artista non vuol dire solo essere pianista anche se nasco come pianista classica, ma dopo tanti anni vissuti a New York mi si sono aperti gli orizzonti ed ho studiato molto la musica sudamericana. Poi ho iniziato a comporre, a fare le mie trascrizioni dei tanghi di Astor Piazzolla. Ho molto variato
D. Lei nel 2007 riceve insieme a Claudio Abbado il premio Sebetia-Ter, targa d'argento del Presidente della Repubblica, come riconoscimento per la sua attività di concertista e compositrice, cosa rappresenta per lei la scrittura musicale?
R. E' l'espressone più diretta di me stessa, dei miei sentimenti più che suonare un brano di un altro compositore. Questo mi esce dal cuore, è una cosa estremamente spontanea che faccio
D. Una persona usa l'alfabeto per scrivere di sé come lei usa le note
R. Esattamente. Anche se mi sento artista a trecentosessanta gradi, ho scritto e pubblicato un libro di poesie con mia musica (Ithaka). Ho nel sangue il dovere di esprimermi e cerco di farlo con i mezzi che ho a disposizione e la musica è sicuramente il primo mezzo, un linguaggio molto immediato ma mi piace scrivere anche con le parole. Mi diverto anche con le immagini attraverso la fotografia
D. Probabilmente la musica le ha aperto al strada, che poi per lei è diventata la strada maestra, ma le ha dato anche la possibilità di far uscire tutte le altre parti di sé artistiche
R. Credo che il mio DNA sia artistico, non mi mettete a fare una cosa di matematica. Anche se dicono che il musicista ha una mente matematica, credo di essere l'unica eccezione al mondo
D. Forse eccellendo al pianoforte ha dovuto mettere da parte il resto. Credo che lei sarebbe riuscita in matematica se ci si fosse dedicata maggiormente: forse tutto il resto è sceso in secondo piano?
R. Sì, la musica veniva prima di tutto anche se ho avuto una preparazione generale
D. Nel 2005, in occasione del suo decimo concerto annuale al Lincoln Center di New York, le viene conferito dal Circolo Culturale Italiano delle Nazioni Unite il prestigioso riconoscimento “World Peace Award” per il suo particolare impegno nel promuovere la Pace nel mondo
R. Sì, nel corso degli anni ho fatto molte cose insieme ad organizzazioni internazionali a supporto della pace e per i bambini, sempre attraverso le Nazioni Unite, ma anche con l'Unicef. Ho collaborato anche con Emergency
D. La musica che è il suo canale comunicativo privilegiato, come può creare la pace dell’anima?
R. Sono convinta che la musica vada a risvegliare dei sentimenti che noi portiamo dentro e spesso sono talmente dimenticati da tante altre cose anche materiali. Penso che l'essere umano abbia dentro una sua sensibilità e la musica, essendo un linguaggio così diretto senza parole e universale, vada a risvegliare nell'animo di ognuno quello che ha dentro. Dopo tanti anni che mi occupo di compositori, di capire quello che hanno scritto, mi rendo conto che questi grandi geni sono state delle persone estremante profonde e ci hanno lasciato una serie di messaggi attraverso la loro musica; se uno riesce a capirli, da interprete ha il dovere di passarli alle persone che ci ascoltano. Nei miei concerti racconto aneddoti, racconto cosa vuol dire quel pezzo musicale e perché il compositore lo ha scritto così. Lo faccio per far avvicinare le persone all'idea creativa. Dopo di che l''ascoltatore ha l'animo più aperto per ricevere quello che gli vado a suonare ed io non faccio altro che risvegliare quello che ognuno di noi si porta dentro. Spero di riuscirlo a fare
D. Lei fa dunque una terapia. Se la musica riesce a risvegliare, esci dal concerto che stai meglio
R. Sì, e vero, me lo dicono. Molti mi dicono “Ho passato un'ora di trasporto in un'altra sfera” oppure “Mi son sentito bene”. Io la prendo anche molto come una missione, purtroppo nel corso degli anni il musicista, anche importante, è stato sempre una persona vista sul piedistallo: entra, suona, saluta e se ne va. Invece proprio perché manca fondamentalmente, soprattutto qui in Italia, una cultura di base musicale, bisogna risvegliarla
D. Lei fa un discorso socratico, Socrate sosteneva che dentro di noi c'è tutto bisogna solo tirarlo fuori. Effettivamente il musicista supponente non aiuterà mai nessuno ad avvicinarsi alla musica classica che è una musica eterna
R. Certo. Tra l'altro sono un'amante della filosofia greca
D. I Greci hanno detto tutto...
R. Sì, hanno detto tutto, poi è stata un po' elaborata
D. Attualmente lei è impegnata, prima artista donna italiana al mondo, nell'esecuzione integrale, in Italia, Germania e Austria, delle 32 Sonate per pianoforte di Beethoven
R. Sì, è una cosa estremamente impegnativa. Sto studiando Beethoven anche dal punto di vista del chi era lui come uomo, cosa faceva perché preparo otto concerti con otto conferenze con otto temi relativi a Beethoven e al periodo storico. Lui era un appassionato di filosofia e come lui tanti altri compositori si sono spesso riagganciati alla filosofia greca. Beethoven amava Kant, Beethoven ha messo in musica anche la filosofia
D. Il suo grande impegno quotidiano con il pianoforte, un dedicarsi così profondo è motivo di felicità o ruba spazio al resto?
R. Eh sì, tutto non si può avere nella vita. Bisogna fare dei sacrifici, magari da ragazza lo facevo così spontaneamente che non mi veniva l'idea di volere altre cose. Alle gite scolastiche non andavo mai perché dovevo suonare, alle feste andavo pochissimo...Nessuno mi costringeva a suonare. Poi nel corso della vita ho dovuto fare altre cose per la sopravvivenza, ho vissuto fuori dall'Italia già da quando avevo sedici anni...Però il mio tempo è stato occupato fondamentalmente dal suonare, dal conoscere, dal viaggiare perché associato alla mia professione. Conoscere persone diverse e culture diverse arricchisce molto
D. Forse ha riempito i vuoti di esperienze
R. Sicuramente. Sono comunque una persona molto socievole e con gli altri sto benissimo, ma sto bene anche da sola
D. Star bene con se stessi significa essere cresciuti bene
R. Non è semplice perché anch'io spesso soffro di solitudine
D. Sono stati d'animo che appartengono a tutti, che affondano le radici nel vissuto di difficoltà personali, l'importante è saper convivere con le proprie difficoltà
R. Bisogna raccontarle e capire cosa sono
D. Considerando il suo libro di poesie “Ithaka”, le chiedo cosa rappresentano per lei i luoghi della memoria?
R. Tornare alle origini. In Grecia, adoro al Grecia e sono felice di ritornarci perché lì mi sento a casa. È risvegliare una memoria che è dentro di me, ma anche in ognuno di noi perché tutti veniamo, a livello spirituale e di pensiero, dalla Grecia. È un avvicinarsi alle origini dell'uomo
D. Della cultura occidentale che è in declino... ma lei fa di tutto perché ciò non accada
R. Io lo spero. Mi capita spesso di incontrare, anche in ambienti totalmente diversi, amanti della Grecia con questa ideologia
D. La musica è un mezzo per viaggiare nel tempo?
R. Sì, anche perché io sono molto nostalgica. Mi trascino nel passato facendo dei lunghi viaggi
D. Era un tempo più adatto alla creazione artistica?
R. Era un tempo molto più lento con meno tecnologia, adatto alla creazione artistica
D. Oggi l'arte non c'è più?
R. Sono convinta che non nascerebbe più un Beethoven
D. Lei è una degna rappresentante
R. No, io non mi paragono
D. Ma io posso
R. Diciamo che sono un'incarnazione moderna del musicista. Uso il computer, ma quando compongo uso la matita e sembro una di duecento anni fa. Non mi sono convertita
D. Ha mai rischiato di rinunciare alla musica?
R. No, ho lottato sempre per averla. La mia vita normale si è aggiustata intorno alla mia vita di artista
D. Una domanda che nessuno le ha fatto e alla quale lei vorrebbe rispondere
R. È uscito da ciò che abbiamo detto fin ora. Se la domanda fosse: Puoi vivere senza musica? No, non potrei vivere senza musica. Potrei forse fare a meno di tutto il resto. L'amore e la passione sono due elementi su cui baso il mio essere musicista. Non solo l'amore per un essere umano ma l'amore in generale e ad alto livello: anche di questo ne faccio a stento a meno
Maria Giovanna Farina



Cos'è la libertà

Acrilico su tela di Flavio Lappo

Cos'è la libertà? Già gli Stoici nel III secolo a.C. ritenevano la libertà una scelta del soggetto, per cui solo il sapiente è libero perché vive secondo natura conformandosi al destino. Ciò significa che sono libera se conosco le cose: il conoscere evita le sorprese e di conseguenza il comportamento diventa libero da falsi pregiudizi. C’è uno stretto legame tra libertà e volontà, ad esempio non è punibile chi commette il male contro la propria volontà: non possiamo condannare chi fa una cattiva azione perché costretto. Per Socrate l’uomo commette il male per ignoranza quando cioè non conosce la via del bene. Il libero arbitrio prevede invece un uomo che conosce e può scegliere. Rimanendo in tema, desidero fare un esempio riferendomi a San Francesco d’Assisi la cui storia ci è nota. Nel famoso film di Zeffirelli “Fratello sole e Sorella luna” viene messa in risalto la scena di quando Francesco si spoglia, letteralmente, degli abiti e si dà alla povertà. Al di là del contenuto religioso, questo spogliarsi ha una forte valenza simbolica ed è un liberarsi di tutto quel bagaglio di stereotipi dei quali il giovane era vittima. Francesco per liberare quel sé stesso prigioniero ha dovuto compiere un atto estremo che lo ha reso veramente libero. Questa storia insegna anche che è necessario combattere ogni giorno per la libertà, per conquistarne un pezzettino alla volta, evitando di giungere a pericolosi atti estremi.
Maria Giovanna Farina

I complimenti non sono molestie

Immagine tratta da Maison Galateo
Un argomento, quello che trattiamo quest'oggi, che sicuramente potrà infastidire o creare anche dei malintesi, perché ci sarà certamente qualcuno a favore e qualcuno contro il titolo che abbiamo appena pubblicato.
L' argomento è importante, perché in questi ultimi mesi le vicende di cronaca hanno coinvolto uomini e donne e hanno fatto come si suol dire di ogni erba un fascio, creando in alcuni casi, problemi e malintesi.
Dopo la denuncia di un'attrice italiana, seguita da attrici di tutto il mondo, contro un produttore americano, sono scattate ripetute denunce e addirittura è nato l'ormai noto movimento “Me too", contro le molestie sessuali che uomini in gran parte di potere, ma non soltanto loro, hanno agito nei confronti dell'altro sesso.
Siamo tutti perfettamente d'accordo e facciamo fronte comune contro qualsiasi tipo di molestia che crei disagio negli altri, molestia fisica o anche condizionamento psicologico, ma facciamo differenza tra queste ultime e dei semplici apprezzamenti che possono essere anche un po' spinti, un po' piccanti, e che non fanno parte di quella categoria terribile delle vere e proprie molestie.
A seguito di queste vicende, in Francia è anche stata stabilita una legge, secondo la quale può essere multato l'uomo che rivolge parole ammiccanti per strada ad una sconosciuta. Stiamo scherzando? Bisogna saper valutare una situazione rispetto ad un'altra, perchè se tutto si appiattisce su questa linea non troveremmo, nemmeno a cercarlo col lanternino, un uomo che guardi una donna per un semplice complimento.
E la differenza è proprio questa: un apprezzamento, riferito anche ad una parte di spiccato significato sessuale in una donna, può farci male? Non lo credo; ad ogni donna un ammiccamento o un complimento può fare piacere e non credo a quelle signore che dicono di non apprezzarlo. Chi non apprezza...tira dritto. Ma anzi, a volte un fischio per strada, sempre che ce ne siano ancora, o uno sguardo prolungato, possono trasformare una giornata triste in una giornata colorata e questo noi donne ben lo sappiamo.
Continuando sulla falsariga del movimento "Me too", si rischia inoltre di penalizzare quel gioco fantastico che è il gioco della seduzione che ha sempre tenuto in vita il rapporto tra i due sessi.
Oltre a questo naturalmente c'è da tenere in considerazione anche che, giudicando in modo indiscriminato, alcune persone si sono trovate rovinate la reputazione e la carriera.
Un esempio su tutti quello dell'attore Morgan Freeman, un uomo di 80 anni che messo di fronte ad accuse di comportamenti che non ha assolutamente agito, ha pubblicamente detto:
"Sono devastato al pensiero che 80 anni della mia vita sono a rischio di essere rovinati, in un battito di ciglia, dalle cose che i media hanno pubblicato. Tutte le vittime di abusi e molestie sessuali meritano di essere ascoltate. E noi dobbiamo ascoltarle. Ma non è giusto mettere sullo stesso piano gli abusi sessuali con un complimento o con l'umorismo. Ammetto di essere una persona che cerca sempre di far sentire le donne – e gli uomini – a loro agio ed apprezzati. Per questo spesso tendo a scherzare e fare complimenti, in un modo che ho sempre pensato fosse simpatico e spensierato. È ovvio che non sono stato capito nei miei intenti, e per questo ho chiesto scusa e continuerò a chiedere scusa a tutti coloro che ho offeso, anche se involontariamente».
Dopo tutto questo, che non è una semplice premessa, bisogna però darsi da fare per arginare questo infestante problema delle vere molestie e della violenza.
Servono leggi, norme sicure e chiare, punizioni certe.
Paletti che individuino i confini tra quello che è reato e quello che non lo è, colpendo severamente che oltrepassa i limiti.
Perché questi sono problemi, ma ben più gravi quelli che sfociano in femminicidi e delitti.
Noi vogliamo però lasciare questi ultimi temi a chi ne sa più di noi; fermiamoci al nostro titolo e comportiamoci di conseguenza.
Con ironia ed intelligenza, le donne sanno difendere il proprio io e la propria dignità. E se un macho ci passa accanto, un bel fischio glielo possiamo lanciare noi, perché no?
Giuliana Pedroli, giornalista ed esperta di comunicazione

IL CIELO SI È STANCATO DI AMARE



Tanto tempo fa l'uomo alzava gli occhi e trovava il mio cielo,
grato di tanto amore gli donai l'azzurro per riempirgli la vita di luce.
Era vivo.
Gli baciai appassionatamente la pelle,
con il mio sole,
per fargli sentire l'amore.
Splendeva.
Attaccai al cielo le nuvole per insegnargli a seguirmi.
Correvamo felici.
Mi inventai la pioggia per piangere con lui nelle notti fredde.
lo rivestii di me.
Imbandii la sua tavola con frutti maturi e straripanti del mio succo.
Fui il suo albero nel suo deserto.
Con la carezza del vento lo trasportai nei ruscelli, sulle montagne e nei mari.
Dimenticò il mio cielo.
Gli donai l'aria per farlo rinascere.
Mi ferì per tanta ricchezza e stesi un manto grigio sulla terra.
Uomo cosa hai fatto al mio cielo?
Oggi, domani e domani ancora,
guarderò i tuoi occhi alzati verso il cielo per scorgere nuovamente il sole,
le nuvole, la pioggia, il vento e l'aria,
ma rimarrò una chimera da dipingere su una parete.
Uomo, nelle tenebre dei ricordi sei solo l’immagine di qualcuno che ho molto amato.
Uomo cosa hai fatto al mio cielo?
Angela Demma





PER UN ATTIMO DI TE



Per un attimo di te amore mio
attraverserei gli oceani del tempo
e le sconfinate praterie assolate
cavalcherei senza sosta alla linea
dell'orizzonte nelle notti accese di luna
Che importa che io sia schiavo o re 
battono e ribattono le staffe d'argento 
correndo veloce nel vento per incontrare 
ancora il sorriso radioso dell'alba
Nulla vale più della carezza di un sogno
memore di quell'antica fragranza 
un istante d'infinito che danza di fiamma


Antonella Massa, poetessa

L'amore è una forza democratica

Opera di Paola Giordano

Questo articolo nasce dopo aver elaborato la decisione di abbandonare, all'inizio del 2019, un progetto culturale di Francesco Alberoni, progetto a cui ero stata da lui invitata a partecipare dopo anni di collaborazione ed un libro in cui lo intervisto. Ho sempre considerato con interesse i suoi studi sul tema dell'amore, ma la filosofia mi ha insegnato a mettere in discussione, a riflettere criticamente, ad andare oltre e ciò con lui non è stato possibile. Anche se con rammarico, ho fatto la mia scelta per essere libera di “criticare” i punti di quella teoria, la sua, non accettabili in toto. Ogni teoria è passibile di revisione e in questa sede considero solo due punti.
Ci si innamora quando si è pronti a cambiare, afferma uno dei nodi fondamentali della teoria di Francesco Alberoni diffusa nel '79 con l'opera Innamoramento e amore. Cosa significa essere pronti a cambiare? Vuol dire essere nelle condizioni favorevoli per mettere in discussione la propria vita, abbandonare la moglie, il marito o semplicemente cambiare fidanzato? Ma siamo pronti a cambiare che cosa? La nostra visione del mondo? Della vita? Questo punto cruciale mostra anche all'occhio poco avvezzo qualcosa di stonato. Ho ascoltato molte persone esperte in materia, ma anche semplici lettori, a proposito di tale passaggio, affermare che non erano d'accordo, che qualcosa di questa tesi non li convinceva: io stessa mi trovavo nella identica condizione di profondo dubbio. E poi la luce della filosofia è giunta ad illuminarmi. Come ci ha insegnato Platone, ciò vale per ogni forma di innamoramento e non solo per quello di coppia, il cambiamento avviene quando ci innamoriamo; Platone parla della “follia” dell'amore che si impadronisce di noi, che altera, per usare un linguaggio moderno, la nostra interiorità e con ciò avviene il cambiamento, una conseguenza dell'innamoramento e non la sua causa. Eros, il putto alato, scaglia le frecce senza preavviso e noi ci innamoriamo senza alcuna condizione né predisposizione a cambiare. Quando, in amore, si dice “Quella persona mi ha cambiato la vita” è perché ha agito in virtù di Eros/Amore. Non a caso in inglese innamorasi si dice, in modo molto appropriato, fall in love, (lett. cadere in amore), esso è infatti una caduta non in senso rovinoso, ma è un rimanere colpiti dalla freccia, è soccombere ad una forza cosmica capace di rimetterci al mondo cambiati, rigenerati, nuovi.
L'amore, lo sottolineo con forza da sempre, non si può racchiudere in una teoria soprattutto se non scientifica. Come ci ha insegnato il filosofo Karl Popper, non si può considerare scientifica una teoria basandosi su fatti che portano solo prove a favore della stessa. La teoria di Alberoni non è scientifica perché usa il metodo induttivo ossia pretende di ricavare da uno o più casi particolari una legge generale al pari di altre non scienze, come ad esempio l'Astrologia. Affermare che ci si innamora quando siamo pronti a cambiare è come dire che i nati sotto il segno dei Gemelli sono portati alla comunicazione per via di alcune congiunture astrali favorevoli al momento della loro nascita...se poi qualcuno che si sente pronto a cambiare si innamora non soddisfa necessariamente alcuna legge universale, allo stesso modo di una persona dei Gemelli che diventa giornalista.
Un altro filosofo, Thomas Samuel Kuhn, ci ha fatto notare qualcosa di diverso. Una comunità scientifica opera all'interno di un paradigma che è un insieme di teorie capaci di definire una tradizione di ricerca e in cui le teorie sono accettate universalmente, un nuovo paradigma si impone quando ha forza persuasiva tanto da raccogliere consenso all'interno di quella comunità: si avrà allora una delle possibili rivoluzioni scientifiche. Con Alberoni non è avvenuto nulla di quanto previsto, piuttosto la sua pseudoscienza dell'amore ha bloccato per tanti anni la nascita di nuove visioni, ma per fortuna da più parti il nuovo spinge per nascere.
Alberoni ha comunque il merito di aver analizzato l'amore di coppia nelle sue fasi e meccanismi, di averci fatto comprendere che l'innamoramento è un “movimento collettivo a due” con le stesse caratteristiche di qualsiasi altro movimento sia politico, culturale o religioso. Questa intuizione l'ha applicata a tutto il suo pensiero, ma riguardo l'amore è necessario andare oltre.
Sia Popper che Kuhn sono passibili di critiche, non li ho citati perché ho fede assoluta nei loro confronti, ma solo per il modello scientifico-critico, indispensabile criterio per riconoscere le pseudoscienze dalle scienze. Le pseudoscienze, come l'Astrologia, soddisfano il bisogno di immaginare una realtà evanescente, una realtà che ci conduce a sperare che tutto sia scritto nelle stelle. La pseudoscienza di Alberoni è del tutto terrena, ma si ispira a ciò che accade in un'élite, una realtà desiderata, ma difficile da raggiungere: è un po' ciò che accade quando leggendo un romanzo sentimentale coinvolgente ne rimaniamo attratti e ci sentiamo parte della storia perché quella storia vorremmo viverla. L'amore, invece, non è per pochi, per parlarne è necessario esplorare oltre l'élite, è fondamentale andare ad indagare personalmente non solo la stretta cerchia dei privilegiati che escono a cena in ristornati di lusso e si scambiano regali costosi durante il corteggiamento, ma è indispensabile scrutare la vita della gente comune: gente che ama e allo sesso tempo vive le privazioni, i problemi economici ed è oberata da mille incognite, gente che sarebbe sì pronta a cambiare ma per prima cosa lo stile di vita. L'amore scaglia frecce a tutti e soprattutto non ha regole se non quelle della fedeltà e del rispetto reciproco: l'amore è democratico.
Un aspetto, addirittura intollerabile, della teoria di Alberoni è il maschilismo. Nonostante il nostro sembri dipingere la donna come un essere da amare, corteggiare e da innamorato considerare la migliore dell'universo, ad un certo punto egli afferma che la donna è attratta dal capo, dall'uomo di potere. L'uomo fisicamente forte e sano è fuor di ogni dubbio capace di dare sicurezza e in previsione della formazione di una famiglia ogni donna, più o meno consapevolmente, desidera un compagno solido che sappia collaborare attivamente alla famiglia, ma che questo soggetto sia necessariamente un capo o un personaggio di potere, non è per fortuna una regola generale; oltretutto relega ancora una volta la donna in un ruolo subalterno, la fissa al concetto per cui una femmina, sotto sotto, cerca il modo di accasarsi con il “riccone” di turno. Dove va a finire l'emancipazione femminile?
In conclusione, non abbiamo bisogno di una gabbia teorica, in amore la libertà è una condizione irrinunciabile, esso è un moto spontaneo che nessuno può regolare; l'amore è, ripeto, una forza democratica capace di catturare ogni strato sociale: esso vuole in cambio nulla se non altro amore.
Non ci resta che rifarci ancor oggi dopo 2500 anni a Platone, colui che per primo ha studiato l'amore comprendendone la natura e le diverse espressioni nell'esistenza umana. Questo è ciò che conta: conoscere le caratteristiche dell'amore per mostrarlo, dimostrarlo e viverlo nella relazione con gli altri siano essi il nostro innamorato, un figlio, un amico o un'idea: al di là del censo. I filosofi lo stanno facendo, ed io mi unisco a loro, cosicché nessuno possa più rubarci l'amore per imprigionarlo in una comoda e conveniente pseudoscienza.
Maria Giovanna Farina pubblicato da Pressenza, agenzia di stampa internazionale




Quando andare al cinema non è solo mero divertimento…


Dal titolo può sembrare un film triste, un film problematico, un film che fa solo riflettere e invece  "LE INVISIBILI", con la regia di Jean Louis Julien Petit, è una commedia delicata che racconta di storie al limite della sopravvivenza. Che racconta certamente di vite difficili, ma con quel non so che di frizzante che rende anche sorridenti i personaggi protagonisti.
Il cast, quasi interamente femminile, è composto di persone che hanno veramente vissuto sempre sulla strada e per le quali la condizione di invisibili, di senza tetto senza lavoro e in alcuni casi senza dignità, è vita vissuta.
Al di là della retorica dobbiamo dire che il film fa piombare lo spettatore in una realtà davvero difficile e complessa, dove oltre alle donne che vivono ai bordi della società si incontrano anche le volontarie dei centri sociali che pure sono persone invisibili a tutti gli altri. Invisibili le prime perché ci passano accanto e noi voltiamo lo sguardo da un'altra parte, ma invisibili anche le seconde, perché non hanno un aiuto, una considerazione da parte delle amministrazioni o dalla burocrazia. Perché devono lottare per ottenere qualcosa, troppo spesso senza riuscirci.
Storie doppiamente invisibili quindi quelle dei  personaggi del film.
 Questa, che in fondo è una commedia sociale, è interpretata da 4 attrici francesi al cui fianco si alternano una dozzina circa di donne che hanno vissuto per la strada; tutte occasionalmente attrici, non professioniste, che hanno interpretato se stesse e la loro vita.
Come dicevamo questa commedia sociale fa riflettere, ma è anche in alcuni momenti leggiadra, frizzante, che ci porta, alla fine a renderci  conto di quanto la civiltà moderna faccia fatica a farsi carico dei più fragili, degli ultimi.
Pur essendo naturalmente una trama di fantasia, c'è molta realtà in questa vicenda perché i personaggi, come dicevamo, sono tutte donne tratte dalla strada, donne che il regista ha seguito e fortemente voluto conoscere intimamente, per un intero anno .
Egli ha voluto conoscere il disagio la povertà la solitudine, ma anche la solidarietà che c'è tra queste donne che vivono la vita degli ultimi.
Il film è ricco di sfumature psicologiche e mette in risalto, nonostante i sorrisi, le umiliazioni e la durezza che arrivano dalla vita ai bordi della società.
Detto così può sembrare che il film sia fatto di illusione durezza e difficoltà, invece alla fine vinceranno l'ottimismo la rivalsa e la capacità di rimettersi in carreggiata.
Queste donne grazie all'aiuto delle assistenti sociali che tanto tempo danno della loro vita, acquistano una nuova dignità una  sicurezza interiore, a volte una nuova professionalità.
Inutile nascondersi che vedere un film come "LE INVISIBILI", può essere per qualcuno come ricevere un pugno nello stomaco, però permette a chi non lo fa per superficialità o perché non ci ho mai pensato o perché è lontano da queste realtà, di aprire gli occhi e vedere quello che succede là dove non arriviamo con la nostra quotidianità.
Il film è, come dicevamo,ambientato in Francia e il regista a lungo ha visitato i centri di accoglienza francesi, ma queste realtà sono vicine a noi, sono dietro l'angolo sono proprio nella casa o fuori dalla casa che confina con la nostra.

 L'invito è quello di guardarci intorno e dare un aiuto, un aiuto che è sempre possibile, perché a volte basta il sorriso...

Giuliana Pedroli, giornalista ed esperta di comunicazione


Il difficile incontro tra le diversità


In un'epoca di forte globalizzazione e di progresso, in cui i cambiamenti tecnologici sono talmente rapidi che si stenta a stargli dietro, in cui tutti sono costantemente connessi con il mondo e gli spostamenti delle persone da una parte all'altra del pianeta si sono centuplicati, è incredibile come nel campo delle relazioni umane si registrino ancora molte situazioni di disagio e difficoltà di comunicazione.
Tutto questo si amplifica laddove la relazione avviene tra individui molto diversi tra loro, come nel caso dell'incontro tra culture differenti o tra persone appartenenti a minoranze o con diverso orientamento sessuale. Nonostante la proclamata e strombazzata cultura dell'integrazione, si verificano ancora oggi situazioni di disconoscimento dell'altrui dignità, di mancanza di rispetto fino ad arrivare a veri e propri casi di violenza e di abuso di potere.
Forse alcune delle cause vanno ricercate negli stili di vita che si sono creati come conseguenza di un mondo mobile, di un’economia in crisi e di una società troppo rapida e competitiva, che richiede prestazioni di alto livello, spesso a discapito del rispetto dell'intersoggettività. Le relazioni sempre più liquide, l'ansia da prestazione, l'egocentrismo e l'individualismo stanno portando le persone a perdere di vista i valori fondamentali che stanno alla base di una buona comunicazione e della stima di sé e dell'altro.
Tra l’altro, la difficoltà ad accettare le persone “diverse” e a relazionarsi con esse in maniera adeguata, e l'atteggiamento persecutorio e violento verso le persone presunte “deboli”, sono il risultato di una fragilità di fondo: chi abusa del proprio potere ostenta una forza e una superiorità che, di fatto, nascondono un'insicurezza di base e il bisogno narcisistico di farsi accettare, in prima battuta, e di prevalere sull'altro, in seconda.
La fragilità e il senso d’inadeguatezza, che spesso si trasformano nel loro contrario, purtroppo li si possono riscontrare anche nella relazione tra persone diversamente abili e cosiddetti “normodotati”, come ho osservato nel mio lavoro come docente di sostegno e di cui ho parlato nel mio secondo romanzo e in alcuni racconti sulla diversità. È difficile riconoscere la soggettività e la ricchezza dell'altro se questo si presenta a noi con caratteristiche diverse da quelle consuete, statisticamente attese. Spesso ciò che è diverso ci spaventa e ci mette in ansia, paventandoci il fantasma di una disabilità con cui tutti, prima o poi, facciamo i conti. Le emozioni che possono scatenarsi di fronte ad una persona disabile, ad esempio, possono essere le più disparate, e possono spaziare dalla compassione all'imbarazzo, dal pietismo al rifiuto, dall'accettazione al rispetto e all'ammirazione. Chi rinnega le emozioni in sé e nell'altro, chi finge che l'altro sia uguale a sé pur di non rielaborare e accettare la sua diversità, commette un errore verso di sé perché impedisce a se stesso di crescere in una relazione che può dare molto in termini di umanità e di scambio di punti di “vista” diversi, ma anche un errore verso l'altro perché lo pone in una condizione subalterna, che lo ferisce psicologicamente e non gli restituisce dignità.
Solo la conoscenza personale e profonda può aiutare a superare pregiudizi e stereotipi e a creare modalità comunicative efficaci, basate sulla capacità di ascolto attivo, di emissione di messaggi autentici e sull’abilità nell’evitare i più frequenti errori di comunicazione.
È importante avere il coraggio di entrare nel mondo dell'altro nel suo pieno rispetto. La capacità di dialogare al di là delle differenze, nell'accettazione di questa diversità, può portare a comprendere aspetti diversi della vita e del suo significato più profondo.
L'incontro tra le diversità, il dialogo, il rispetto e l'arricchimento reciproco sono dunque i valori a cui bisogna ispirarsi per educare le nuove generazioni e per promuovere relazioni che siano sempre più gratificanti, sempre più umane.


Eleonora Castellano, docente e psicologa
(Giugno2015 - Tutti i diritti riservati©) www.eleonoracastellano.com 

Sensitività

Disegno a matita di Flavio Lappo
Della sensazione, come elemento della conoscenza sensibile, se n’è ampiamente occupata la filosofia fin dai tempi antichi, ben prima di Cristo. Con Cartesio il concetto di sensazione inizia ad essere distinto da quello di percezione aprendo in seguito la via al Condillac e alla nascente psicologia, ma ciò di cui intendo accennare in questo breve articolo è relativo alla sensitività in quanto caratteristica di chi o di cosa è sensitivo. Sensitivo è un aggettivo che si riferisce all’attività dei sensi, ovvero di percepire attraverso essi, che nella fisiologia umana sono i cinque ben noti a tutti; però è anche un sinonimo di sensibile per cui si può dire che una persona sia sensitiva quando è facilmente influenzabile da situazioni emotive: da qui è facile trovare la base di partenza per un altro senso, quello chiamato il sesto senso che esula dai cinque tradizionali ed indica una particolare capacità di percepire segnali comunemente ignorati o semplicemente non sempre recepiti che vengono generalmente riuniti sotto il termine di sensazioni. A tutti è capitato nel corso della propria esistenza di provare una certa sensazione non meglio definita per indicare uno stato d’animo molto particolare come l’aura di qualcosa che sta per accadere pur non essendoci elementi concreti tali da poterla prevedere. La cinematografia ha sfruttato questa vena per intrecciare suggestive trame di sceneggiati, film e telefilm care ad un vasto pubblico. La serie televisiva The Mentalist è un esempio in cui un consulente della polizia riesca a risolvere i casi più intricati apparentemente grazie alle sue qualità di sensitivo mentre in realtà è un abile indagatore in grado di cogliere i particolari minori sulla scena del delitto ed essere un grande esperto di comunicazione non verbale. Nel campo del paranormale i sensitivi sono quelle persone apparentemente in grado di “captare” segnali normalmente impercettibili dai più. Allo stato attuale, in ciò non c’è nulla di scientifico nonostante a volte si riscontrino risultati apprezzabili. È innegabile che molte zone del cervello siano ancora inesplorate e quindi sconosciute alla scienza e i cosiddetti savant siano in grado di fare cose impossibili per tutti gli altri: evidentemente riescono ad usare parti dell’encefalo negate alla stragrande maggioranza dei comuni mortali. Però non è tutto oro quello che luccica infatti molti savant, così vengono comunemente chiamati gli individui con capacità mentali superiori, hanno problemi a svolgere alcune semplici attività di routine e presentano anomalie sensoriali come, per fare un esempio, di ipoacusia: è come se usando zone particolari cerebrali abbiano difficoltà a servirsi di altre accessibili ai più. Tutto questo per dire che non c’è nulla di soprannaturale o miracolistico nelle prestazioni extracomuni, ma solo una capacità predisposizionale all’uso di elementi cerebrali inconsueti. Altre anomalie comportamentali lasciano deporre a possibili alterazioni genetiche. Ergo, ogni qualvolta ci troviamo di fronte a fatti inspiegabili o portentosi piuttosto che cercare spiegazioni in alterità metafisiche sarebbe opportuno dedicarsi maggiormente allo studio e alla ricerca e ciò che oggi apparre miracolistico domani avrà una spiegazione scientifica.
Max Bonfanti, filosofo

NOI E I NOSTRI ANIMALI


È frase comune dire -chi non ha animali non può capire-, ma è anche assoluta verità.
Di fronte allo stupore delle amiche che quando mi sentono dire –oggi è la quinta volta che lavo il pavimento- inorridiscono, io mi dico e dico loro che in cambio il mio cane( il pavimento lo lavo per lui che entra ed esce mille volte al giorno dal giardino in casa), mi da molto, molto di più. Ma, appunto, bisogna provare per capire. E quanto sia importante vivere con un animale non tocca a me dirlo, ci sono studi, trattati, fascicoli interi che dimostrano quanto un animale faccia bene a ognuno di noi, anche a chi all’inizio sembra refrattario. Il gatto suscita tenerezza, soddisfa il bisogno di coccole; il cane aiuta a crescere. Avere ed accudire un cane insegna la responsabilità verso gli altri, insegna a socializzare, ad accettare le nostre emozioni. Vivere col proprio cane è vivere quasi una simbiosi affettiva: lui intuisce i nostri sentimenti e vive empaticamente con noi che lo amiamo. Il mio Otto (nella foto n.d.r) corre ad asciugarmi le lacrime se mi vede piangere e se ne va solo quando lo rassicuro, ridendo, che è tutto a posto. Non sanno parlare? È vero, ma sanno il significato di molte parole e ci capiscono. Certo l’introduzione di un animaletto in casa passa attraverso diverse fasi: molti di noi hanno avuto all’inizio un pesciolino rosso, un canarino, un criceto, nel mio caso una coppia di scoiattoli Burundu e poi, solo in un secondo tempo un gatto, un cane o entrambi. La lunga trafila serve a convincere chi in famiglia magari non è d’accordo, ma poi soccombe con piacere all’amore…peloso. Perché dire di no ad un figlio che chiede in regalo un piccolo animale? Perché cresce, sporca e da da fare? Certo è così; l’animale tanto tenero, bisogna tenerlo presente sempre, nel giro di poche settimane è cresciuto ed ha esigenze impegnative. Inutile sperare nell’aiuto dei minori, perché all’inizio giurano e spergiurano che se ne occuperanno in prima persona, ma, passati i primi momenti di entusiasmo… mollano il colpo e scaricano tutto sugli adulti. Ma vuoi mettere la gioia, l’allegria, l’affetto che arrivano in famiglia? cancellano la fatica e l’impegno gravoso. Nove italiani su dieci confermano che vivere con un animale in casa ha fatto bene alla sua famiglia, ha portato feeling e buonumore. Inoltre, al di là dell’impegno non mantenuto, ai ragazzi (oserei dire ai bambini) il vivere con un animale è cosa molto educativa, perché porta ad assumersi la responsabilità, all’abitudine a riconoscere il diverso da sé ed i bisogni degli altri. A tutti fa bene anche sul fronte della salute perché aiuta ad abbassare lo stress, a muoversi, camminare, stare all’aria aperta, ma anche sul fronte dei sentimenti perché un animale trasmette e ci fa vivere emozioni che creano una relazione affettiva insostituibile, e questo fa star bene. Qualcuno dice -un animale no, poi quando se ne va si soffre troppo. - Accidenti se è vero! È uno dei momenti più duri della vita e, dato che noi sopravviviamo ai nostri amici, rischiamo di vivere la triste esperienza più volte. Ma vivere lo strazio di questi momenti aiuta: a sentirsi più uniti, insegna ad occuparsi dei più deboli e ad accettare quello che la vita ci riserva, anche i dolori e le separazioni inevitabili.
Ma come dicevamo all’inizio…bisogna provare per capire.  
        
Giuliana Pedroli, giornalista

Gli opposti si attraggono




La Filosofia antica ci ha lasciato un insegnamento che è stato raccolto e sviluppato dalla Psicologia moderna, ovvero la convinzione che nella nostra mente le idee (o concetti, se preferite) sono associate per contiguità e per contrasto. La contiguità a sua volta implica che due concetti possano legarsi tra loro o perché uno è causa dell’altro o perché vi è somiglianza tra essi. In un caso come nell’altro, sembra che per la mente sia naturale associare immagini, parole, pensieri, sensazioni, ricordi, e quindi concetti e idee, o per una somiglianza di qualche tipo o perché, al contrario, sono uno l’opposto dell’altro. Non è un caso, ad esempio, che esistano i Dizionari dei sinonimi e dei contrari. Sinonimi e contrari possono sembrare lontani eppure sono intimamente vicini. Mi viene in mente un altro esempio, in un contesto del tutto diverso: ci si chiede spesso se le relazioni personali (che siano di natura sentimentale, amicale o professionale) si dipanino meglio tra persone affini o tra persone molto diverse tra loro, che possono integrare le reciproche differenze. La risposta non è univoca e comporta vari livelli. La Psicologia contemporanea di stampo cognitivista ha dimostrato, con fior di esperimenti, che la relazione tra concetti opposti è molto forte, ancora di più che tra concetti simili (pensiamo a come il “bianco” faccia venire in mente in maniera repentina il “nero”, a come il “bene” richiami l’idea del “male”). Una cosa si definisce in maniera netta proprio grazie alla contrapposizione con il suo opposto e dunque vien da pensare che di ciò che è opposto ce n’è proprio bisogno. Uscendo ancora una volta dal campo strettamente mentalistico, mi viene in mente un esempio sociale: i gruppi si rafforzano al loro interno proprio nel momento in cui si profila all’orizzonte un nemico comune. La contrapposizione in campo dialettico, poi, può essere foriera di grande creatività. Hegel, con la triade tesi-antitesi-sintesi, ci aveva già detto parecchio. Gli opposti esistono anche nel comportamento non verbale? Certamente. Ad esempio, una posizione di chiusura del nostro corpo e una di apertura sono all’opposto. Però, a differenza del comportamento verbale, in quello non verbale è possibile ravvisare molte più sfumature tra gli opposti, tant’è che un osservatore attento e sensibile non se le lascerà sfuggire. Basta che la piega della bocca o l’arricciamento del naso o i movimenti degli occhi siano leggermente diversi dal solito, che il nostro interlocutore può rendersi conto che c’è qualcosa che non va, anche se i messaggi non sono eclatanti.
Queste riflessioni sono scaturite dalla mia partecipazione al Laboratorio del Ben-essere di Giugno, che si è concluso con l’idea di avviare, dall’autunno, una sperimentazione filosofico/teatrale sul benessere partendo dal suo opposto, il malessere. Credo che l’idea sia interessante, che mostrare condizioni di disagio e situazioni ricche di problematicità sia un buon modo per indurre nello spettatore riflessioni che lo conducano al desiderio di immaginare (e realizzare) qualcosa di diverso. In ultima analisi, mettere in scena il malessere, le sue origini, le sue manifestazioni sintomatiche può richiamare, per opposizione, il suo contrario, com’è naturale per la mente umana. Ricordiamo, infine, che il teatro coinvolge interamente la persona che sta sulla scena, mente e corpo, e crea risonanze in chi assiste. E quindi, considerata la stretta relazione tra mente e corpo e quello che nasce dalla loro interazione profonda, sul palcoscenico è possibile far emergere tutte le contraddizioni che si annidano nella mente e si manifestano nel corpo e, viceversa, agendo sul corpo è possibile intervenire sulla mente. Gli obiettivi che il nostro Laboratorio si prefigge rimangono sempre gli stessi: trovare nuove vie alla cura facendo ricorso a più strumenti comunicativi, indurre riflessioni e suscitare domande “autentiche”, che non saturino il pensiero, ma che, al contrario, stimolino nuove ricerche e nuovi approcci.


Eleonora Castellano, docente e psicologa
(Tutti i diritti riservati©) 

Madre natura, recensione



Essere madre, la più grande felicità per una donna. Essere figlio di una madre che ti ama, la più grande fortuna per un figlio o figlia che sia. Questo credo sia il messaggio più profondo del nuovo libro, Madre Natura, di Ilaria Grasso che ha scelto lo pseudonimo di Blon Porn Ferret. Credo che con questo appellativo voglia sottolineare quanto la pornografia sia caratteristica di molte manifestazioni umane, molto più deleterie dei film a luci rosse, e con questo nome ci parla senza falsi moralismi, ma con gentilezza, di un tema universale.
La madre è chi ti cresce e ti sa preservare dalle brutture del mondo, la madre è chi è sempre pronta a difenderti, la madre è colei che ti riconosce come figlio anche se non ti ha partorito. La madre rinuncia a se stessa e all'egoismo per amare un figlio. La madre si dà, ama e si sacrifica senza chiedere nulla in cambio. Questa è la natura della madre che è ben espressa nel libro di Ilaria, vi invito a leggere.
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Maria Giovanna Farina