Un contributo filosofico per un progetto urbanistico


Ascoltando i dibattiti contemporanei ci si accorge di come spesso un programma di riqualificazione architettonica e infrastrutturale che comprenda lo sviluppo di spazi comuni e di attenzione verso quello che di recente viene definito il “capitale naturale”, venga considerato un lusso urbanistico e non una priorità.
Occorre riflettere sul fatto che le priorità stesse, per emergere, necessitano di occasioni di conoscenza e di bellezza. Perfino i bisogni insostituibili non verranno riconosciuti laddove non saranno mai stati esperiti.
Proporre politiche di inclusione responsabile in armonia con gli spazi verdi, l’urgenza di una pianificazione urbana che rispetti la connessione essenziale con la natura non è una velleità romantica o un afflato poetico ma un’esigenza fondata ontologicamente. Cioè non è stata decisa arbitrariamente ma posta dall’Essere che scorre nelle molteplicità.
Le ricerche sociali e antropologiche correnti si riferiscono con disinvoltura alle opportunità sociali, di genere, tuttavia non tengono in considerazione quelle che potremmo definire le “opportunità ambientali”: sebbene la qualità della vita sociale, culturale, emotiva, dipenda strettamente dalla fruibilità delle reti di collegamento ai giardini pubblici, dalle geografie urbane, e da servizi che diano maggior valore al tempo.
L’obiettivo di una maggior inclusione sia generazionale-verticale che orizzontale-etnica non può svilupparsi in un clima di degrado abitativo e cementificazione incontrollata.
L’arte è la mano destra della natura” scriveva Schiller e l’accessibilità dell’arte e alle attività all’aria aperta, delle aree museali come delle piste ciclabili ad esempio, necessita di luoghi agibili, spazi di partecipazione sociale, non di sovraffollamento anonimo come nell’ennesimo, per quanto talvolta comodo, centro commerciale.
Aristotele nel I libro della metafisica ci parla della Meraviglia; uno stato di stupore che ci coglie magari mentre camminiamo lungo un viale alberato.
Gli appartenenti alla sua scuola filosofica vennero chiamati peripatetici (dal greco peripatetikos, camminare) per via dell’abitudine di discorrere passeggiando; un’andatura meditativa, che apriva il respiro e rischiarava le menti. Certo, sarebbe un anacronismo ingenuo auspicare una regressione ambientale anche solo a un secolo fa, ma possiamo invece proporre una città più verde, per un adattamento antropico più consapevole e coerente con le competenze attuali dei cittadini, e la vita degli animali e delle piante, nelle metropoli come nei piccoli paesi. Non si tratta di fare spazio alla natura, come fosse una magnanima concessione, e neppure solo di cogliere l’emergenza sopravvivenziale delle risorse in esaurimento, ma di recuperare il legame nell’anima (sì, proprio così) dell’esistenza terrestre.

Galilei nel suo trattato Il Saggiatore asseriva che l’universo è scritto in lingua matematica e i suoi caratteri sono le forme geometriche, dunque prima che un generico quanto opinabile “buon gusto”, è la sintassi figurativa con cui è stato concepito il cosmo a darsi attraverso geometrie proporzionate che siamo chiamati a riproporre nelle nostre architetture. Una metrica paesaggistica, un ritmo visivo di convivenza, non di sopruso, che inviti alla cooperazione.
Ormai la fisica moderna sta riscoprendo e confermando la forza energetica emanata dalle forme. Il disegno civico realizzato dagli edifici condiziona il sentimento comunitario o piuttosto la chiusura individualista. Un piano strutturale che non sia fondato su un abitare “colonizzatore”, ma un abitare di collaborazione, forgia prospettive più ampie per il futuro umano e della Terra.

L’educazione alla biodiversità, dal riccio del prato al gabbiano del fiume, non è solo passione zoologica ma è formazione etica all’Alterità, all’altro, il non-io. Il pipistrello che mangia zanzare, il lombrico che smuove il fango per dare nuova linfa radici, così da attivare il processo di impollinazione che ci fornisce aria respirabile, sono la fondazione effettiva di ogni piano regolatore.
L’ aura cromatica del verde fogliame, l’ossigeno culturale profuso dalla flora e fauna di una villa, la fotosintesi non è solo una funzione ecologica ma il paradigma dello scambio continuo che ciascuno partecipa con tutto il resto.
Il parco non ci insegna solo l’ ecologia, la dipendenza sistemico-ambientale ma una condizione che ha un’origine profonda e spirituale.
Una “Metafisica della mescolanza” esibita dall’intelligenza vegetale, perché “le piante non intrattengono alcuna relazione selettiva con quanto le circonda: sono, e non posso che essere, costantemente esposte alla realtà limitrofa. La vita vegetale è la vita in quanto esposizione integrale, in continuità assoluta e in comunione totale con l’ambiente. (…) l’assenza di movimento non è che il rovescio dell’adesione integrale al loro ambiente e a quanto succede loro”1.Piante e animali ci mostrano altri modi di percepire e di stare al mondo, per questo ci insegnano che c’è spazio per innumerevoli modi di abitare.


Sembra di notare come l’uomo si senta al contempo imbrigliato e affascinato de questo immenso genitore cosmico che è la natura, un po’ come se non sapesse come pensarsi rispetto ad essa ma sentisse di doversi porre nei termini di una qualche distinzione. Come se non sapesse escludersi o piuttosto includersi nell’immenso, archetipico, magico significato di “natura”. Non ha focalizzato se si percepisce fagocitato da una dimensione indomabile o rapito dal suo mistero insondabile.
Insomma se il nostro rapporto con la natura sia un delirante disconoscimento, un fiero trascendimento oppure una (sedicente?) fatale rottura.
In Dialettica dell’illuminismo i due autori tedeschi della scuola di Francoforte scrivono “Dominare senza fine la natura, trasformare il cosmo in un immenso territorio di caccia, è stato il sogno dei millenni: a cui si conformava l’idea dell’uomo nella società virile. (…) La donna era più piccola e più debole, fra lei e l’uomo sussisteva una differenza che essa non poteva superare (…)”2.Certamente anche una pedagogia della coesistenza di specie animali e vegetali educa alla cooperazione e all’alleanza reciproca tra maschile e femminile.
Secondo questi due filosofi, l’aurora dell’Illuminismo non risale al Settecento, bensì inizia addirittura in epoca omerica! L’illuminismo si annuncia con l’illusione di dominio sulla natura, già con la negazione dell’animismo a favore della credenza negli dei greci. L’umanità avrebbe intrapreso un percorso di presunta civilizzazione nel quale non ha saputo integrare le capacità peculiari della propria specie con gli istinti e le pulsioni. Per questo, metaforicamente, Ulisse si fa legare a un palo della nave, per non lasciarsi sedurre dal richiamo della natura rappresentata delle sirene, donne ibridate con pesci, (le specie animali che infatti sentiamo più lontane e diverse da noi), per traghettare invece l’umanità verso un livello superiore, che si libera dell’animalità e si differenzia dai “bruti”.

L’uomo è un animale bipede e ingrato” scriveva caustico e amaro Dostoevskij in Memorie dal sottosuolo, ma questa nostra bizzarra specie ammette anche la possibilità di superare sé stessa perché riflette sulla propria condizione, implodendo in quell’enigma concettualmente tautologico che chiamiamo coscienza.
Inoltre i progetti di urbanizzazione sostenibile ci mettono in risonanza con il concetto di creazione cioè della materia come manifestazione viva. Una visione del mondo e anche della città come creazione non necessariamente legata a un’appartenenza religiosa, ma che sia ricettiva a un senso del sacro, al miracolo in atto. Anche la città è creazione, opera dell’uomo, atto di fondazione collettiva delle persone. Creazione della comunità che instaura le sue leggi e si associa in virtù del benessere e della crescita.

La città può imparare a includere le forze momentaneamente passive e ad innescare un circuito virtuoso dei rifiuti, che sono già risorse.
La pestilenza globale della spazzatura senza riciclo, che ha come vessillo mortifero la piaga della plastica, è l’immagine della sfiducia umana nella logica funzionale della riconversione e dell’intelligenza della trasformazione che la terra agisce, logica che non solo fonda l’intelletto vitale del pianeta ma da cui scaturisce. Il celebre sociologo polacco Bauman, descriveva il nostro tempo quale epoca dell’indignazione senza progettualità; sappiamo polemizzare a lungo su ciò che non vogliamo ma senza avanzare propositi ponderati ed efficaci di miglioramento.
Probabilmente non siamo all’alba di una società utopica come quella postulata dal domenicano e filosofo Campanella nella sua “Città del Sole” ma vediamo all’orizzonte una città rasserenata da una luce più accogliente.

1 Emanuele Coccia, La vita delle piante-Metafisica della mescolanza-, Il Mulino, Bologna, 2018, p.12-13.
2 M. Horkheimer, T. W, Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 2010, p.265.

Giulia Bertotto, consulente filosofico

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