Lasciamo uscire ciò che siamo


Non siamo soddisfatti di come gli altri ci vedono? Pensiamo che la nostra vera natura sia sconosciuta agli altri e per ciò soffriamo? Il suggerimento che vi posso dare per far uscire allo scoperto ciò che siete è quello di creare una rottura. Vi racconto la storia di Adele, una giovane donna infelice perché relegata in un ruolo imposto dalla famiglia: moglie e madre senza possibilità di scelta. Come poter solo pensare ad un cambiamento quando si hanno due piccoli bambini da crescere che hanno diritto ad una vita senza ansie. È necessario trovare una via d'uscita che soddisfi tutti: si può essere buone madri e donne emancipate. Il nostro cambiamento deve avvenire a partire da piccoli particolari per comunicare senza ferire e né scombussolare troppo chi siamo veramente. Per prima cosa iniziamo dalle situazioni più semplici: un nuovo look, un nuovo taglio di capelli che stacchi molto col passato dà il primo segnale che non siamo più come prima, il discorso deve uscire dal caso che vi ho narrato per applicarsi ad entrambi i sessi e soprattutto ad altre situazioni della vita quotidiana. Poi il cambiamento radicale arriverà al momento giusto, quando saremo pronti. L'importante è non bloccare la nostra rinascita: piccoli step quotidiani e inarrestabili ci conducono alla meta.
Maria Giovanna Farina

Mangiamo l'agnello di cioccolata



Immagine tratta da wired.it
Pasqua come ogni anno è anche momento di condivisione a tavola, momento conviviale di un giorno di festa. Le uova che si consumano in diverse varianti sono simbolo di nascita, l’origine della vita: pensandoci bene anche i mammiferi si formano grazie ad un piccolo uovo fecondato….ma allora perché uccidere un agnello per festeggiare la vita? Per i cristiani l’agnello è il sacrificio del Cristo, è Cristo stesso definito l’agnello di Dio che (morendo) toglie i piccati del mondo, ma ancor prima per gli Ebrei sacrificare l’agnello voleva dire la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. Al di là delle secolari tradizioni, oggi c’è una corrente di pensiero che si schiera contro l’agnellicidio pasquale allevato più per soddisfare il palato che per osservare le tradizioni religiose. Come ho scritto qui sopra per i cristiani è Cristo il simbolo del sacrificio e allora cosa c’entrano i poveri agnelli? Una bella torta salata o un dolce a forma di agnello non può sostituire l’immolazione? Direi un bel Sì con la esse maiuscola anche perché stiamo ormai parlando di simboli e i simboli sono qualcosa che rimanda a qualche cosa di concreto: un agnello di cioccolata può diventare simbolo del sacrificio come un agnello di carne. Compreso questo passaggio, si possono lasciare alle mamme pecore i piccoli agnelli senza sacrificarli in massa durante le feste pasquali. E non c’entra il vegetarianesimo, qui si tratta di fare un piccolo ragionamento per capire quanto l’agnellicidio sia inutile oltre che crudele. Per concludere, al centro dell’annunzio cristiano si trova la liberazione dal peccato e la resurrezione dei morti che è anche una resurrezione fisica e non solo dell’anima. E la resurrezione non può macchiarsi di sangue innocente.

Maria Giovanna Farina

Andiamo a vivere sugli alberi


Italo Calvino, scrittore del novecento dove la caratteristica maggiore della sua produzione è una forma narrativa tra il ricordo e la fiaba, è autore de Il barone rampante, una storia originale e fantastica dove l’interprete, figlio di un barone, per ribellarsi ai diktat paterni si rifugia su un albero del giardino per non scendere mai più. Si costruisce una capanna e si sposta camminando e saltando da un albero all'altro. Un racconto che ha affascinato tanti adolescenti in un’epoca della vita così ricca di ribellione, ma è anche un invito a staccare i piedi da terra per vivere un po’ al di sopra e al di fuori dei soliti stretti confini terreni. Camminare sugli alberi permette di staccarsi dalla terra, dalla concretezza. Da ragazzi è più facile da adulti meno, per questo motivo questa storia affascina ed è utile anche agli adulti. Vivere sugli alberi dà la possibilità di osservare la vita da un altro punto dì osservazione e scrutare lo scorrere degli avvenimenti senza esserne direttamente coinvolti. Sicuramente il Barone rampante è stato un ottimista, non è facile credere nella riuscita prendendo una decisione così estrema. Certamente l'incoscienza dell'età aiuta, ma non basta: è necessario un quid per poter cambiare il mondo e lui lo possedeva. A noi non resta che allenarci cogliendo minuti giornalieri di libertà assoluta, magari leggendo questa storia o semplicemente isolando la mente dalla pesantezza quotidiana: almeno per pochi minuti al giorno!
Maria Giovanna Farina

Vivere alla giornata


Pensieri sparsi, disegno di Flavio Lappo, 2013
“Chi vuol esser lieto sia del domani non c’è certezza”, scriveva Lorenzo il Magnifico fautore del tanto decantato carpe diem. Lo sappiamo che non c’è alcuna garanzia di essere vivi domani ma nemmeno tra un attimo per cui non ci resta che goderci l’attimo. Il problema è non farsi ingannare da una falsa idea del “carpe diem” che non è essere dei goduriosi asserviti al piacere, allo sperpero di denaro e alle gozzoviglie perché tanto domani chissà se saremo ancora a questo mondo. Vivere alla giornata è da ottimisti nella misura in cui l’oggi non oppone resistenza al domani, in che senso? Se per vivere alla giornata non mi trattengo e mangio un chilo di cioccolato, è chiaro che starò male quindi se sono ottimista non penso che tanto non mi succederà nulla, bensì con il ragionamento produttivo arriverò alla conclusione per cui è bello godersi la vita oggi se anche domani potrò averne un bel ricordo e non un mal di pancia colossale che mi costringe alle cure mediche e quindi a trascorre del tempo nella sofferenza. L’ottimista sa vivere alla giornata perché ha compreso che godersi la vita non vuol dire riempirla di eccessi. Maria Giovanna Farina

Siamo quello che mangiamo


Siamo quello che mangiamo, diceva il filosofo. Mai frase è stata più bistrattata e usata dagli addetti del cibo. Questa citazione del filosofo Feuerbach rimanda alla concezione per cui siamo costituiti da molecole tenute in vita da ciò che introduciamo con il cibo e l’anima cristianamente intesa non esisterebbe. Se è vero che il cibo buono o cattivo sa modificare il nostro corpo in meglio o in peggio, il corpo si ammala e vive in salute anche a causa del cibo, è anche importante dare il giusto valore alle parole e non appropriarsene arbitrariamente, nella modernità il “siamo quello che mangiamo filosofico” ci può servire per ricordare la profonda influenza del corpo sulla mente e viceversa ma dal punto di vista delle nostre relazioni. Escludendo il pensiero di Feuerbach perché troppo materialista nel suo eliminare il lato spirituale dell’essere umano, ma escludendo anche gli spot pubblicitari dei cuochi, direi che ciò che mangiamo va oltre quando le nostre scelte sono etiche. Pensiamo al vegetarianismo o al veganismo e alla lotta contro la sofferenza animale di chi segue questo ideale di vita: fa molta differenza mangiare carne o non mangiarla. Le nostre relazioni sono anche con gli oggetti, con gli animali oltre che con le persone, per cui siamo quello che mangiamo, come lo mangiamo e con chi lo mangiamo.

Maria Giovanna Farina

Trovare la tranquillità

Foto di Marisa Colantonio


A volte lo sconforto sale alla coscienza e non capiamo nemmeno a cosa sia dovuto, percepiamo un malessere di fondo giungere fino in gola ma non sappiamo come contrastarlo. Prima di affidarci a qualsiasi rimedio, troviamo un angolo in mezzo alla natura, uno spazio anche piccolo ma solo nostro. Non è difficile individuare un fazzoletto di verde con due alberi o dei cespugli e qualche fiore: sediamoci lì e cerchiamo il più possibile di entrare in contatto con la natura. Più volte mi hanno chiesto come si fa a svuotare la mente e a non pensare: sedersi sull’erba e cercare di entrare in sintonia con i fiori, le foglie, i fili d’erba e il profumo della natura è la strada giusta per non pensare ad altro se non a questa esperienza semplice e capace di farci ritrovare la pace interiore. Cosa c’è di meglio che la tranquillità dell’anima, una pace ritrovata nel silenzio di una meditazione senza troppe pretese di giungere chissà dove, quello che ci serve è ritornare alla semplicità che la vita di oggi tende a distruggere. Annusiamo la vita attraverso la semplicità di un rinnovato ascolto di noi stessi mettiamoci in ascolto silenzioso di noi stessi: questo è il rimedio vincente.

Maria Giovanna Farina

Voglio essere felice

Felicità, disegno a matita di Flavio Lappo

Voglio, già lo voglio! L'erba voglio non esiste neppure nel giardino del re, mi diceva la nonna. Come a dire che non è bello affermare in modo imperativo “Lo voglio”. Si dà l'impressione di essere dei despoti, arroganti prevaricatori.... A distanza di anni non sono d'accordo perché affermare la propria volontà è il primo passo per la salvezza. 
Pensiamo ad un malato affetto da una patologia severa e alla sua volontà di salvarsi: la volontà conta, eccome! Se ci si lasciasse andare al pessimismo e allo sconforto più nero, si perderebbe il forte impatto della volontà nella cura e sicuramente verrebbero meno molte opportunità di guarire. Così è per la felicità che non è una costante della vita nemmeno per chi è felice, ma è fatta di piccoli attimi da saper catturare. Se voglio la felicità certamente la otterrò a patto di organizzarmi con cognizione. Per essere felici è indispensabile saper apprezzare le piccole cose, siamo tutti d'accordo su questo punto. Non lasciatevi condizionare da farle idee: avrete provato a mangiare una grande quantità di un cibo che amate, come è andata a finire? Mal di pancia, senso di nausea, aumento del peso corporeo... da lì nasce l'idea che la felicità si paghi a caro prezzo invece non è affatto vero. 
L'errore è il nostro, quando cerchiamo la felicità nel posto sbagliato. Essa non si trova neppure nel possedere molti beni perché l'ansia di possederne sempre di più e la paura di perdere quelli ottenuti allontana da una vita felice. Non ci resta che arrenderci alla povertà? Assolutamente no. Per essere felici bisogna lavorare per trovare l'equilibrio.
Maria Giovanna Farina

Una fiaba che fa bene anche agli adulti



Con la fiaba paradossale di Pippi Calzelunghe, una fiaba per bambini che fa bene anche agli adulti, il messaggio e l’insegnamento sono libertà e responsabilità. Pippi vive una vita libera, fa cose strane e incredibili come camminare senza mai posare i piedi sul pavimento (cammina sui mobili, si arrampica sui lampadari, ecc.), non ha genitori che le dicono cose fare eppure vive senza paure. Questa storia surreale fu inventata dalla Astrid per la sua bambina ammalata di polmonite ed è diventata un successo mondiale, un motivo ci sarà. Le favole devono far volare la fantasia dei bambini ed infondere in loro la sicurezza necessaria per sperare di poter superare da soli le difficoltà che la vita presenta ad ognuno.  Non sarà che ci siamo dimenticati in un angolo della cantina il nostro essere bambini? Le regole sono indispensabili per una crescita equilibrata, ma se ce ne hanno date troppe rischiamo di sentirci soffocare e una storia come quella di Pippi ci può aiutare. Essere liberi di fare quello che si vuole è il desiderio di tutti, ma come finisce la storia di Pippi? È una pura illusione sperare di essere del tutto liberi, è più reale impegnarsi per vivere serenamente ka vita. Ma se vogliamo sognare e divertirci, leggiamo Pippi.

Maria Giovanna Farina

Quando dobbiamo sospendere il giudizio

Mille possibilità, Flavio Lappo, acrilico su tela, 2010
Quando qualcuno tace e non reagisce agli insulti o semplicemente non esprime la propria opinione si dice che “chi tace acconsente”. Ma questo se da punto di vista della legge è un criterio applicabile, nella vita quotidiana si può tacere per motivi diversi e non solo per accondiscendere. Per paura di essere contraddetti, per paura di fare brutta figura o semplicemente per paura di non saper riuscire a controllare le parole, si tace. Quando ad esempio in ufficio o in qualsiasi altro posto non diciamo quello che ci sta passando per la testa altrimenti son guai, lì non si tratta proprio di tacere per acconsentire, ma per evitare la “catastrofe”. E allora ricorriamo ad un filosofo nato nel 360 a.C. Pirrone di Elide il capostipite della scuola scettica. Questo filosofo introdusse la sospensione del giudizio (in greco epoché), sosteneva infatti che quando ci si trova dinnanzi a qualcosa per cui non siamo in grado di dare un giudizio di un certo valore è meglio sospendere temporaneamente di proferire. Vorrei far notare che epoché non è paragonabile al no comment in quanto quest’ultimo significa che non esprimo giudizio, mentre epoché è una sospensione temporanea per preparare la risposta più consona e adatta. Quindi ripetete con me: epoché! E nel frattempo avrete il tempo per trovare la risposta giusta e fare la giusta e bella figura. Vedete che c'è sempre la miglior soluzione!

Maria Giovanna Farina