Perché non posso contare su nessuno?


Capita che le persone si mostrino disponibili, promettano aiuto e appoggio, poi nel momento del bisogno si rivelino completamente all’opposto. In questi casi dobbiamo superare la tentazione di essere generalisti e di fare di tutta l’erba un fascio. È vero, può accadere, ma a volte siamo noi a credere che “tanto sarà sempre le stessa cosa”, che non troveremo mai qualcuno su cui contare veramente. Questo modo di pensare è provocato da tre fattori principali, conoscerli ci aiuta a superare le difficoltà.
Il pessimismo. È legato a come siamo cresciuti e a come ci hanno educati, ma anche a qualcosa di più intimo, altrimenti sarebbe difficile spiegare come alcune persone, nonostante una vita ricca di eventi spiacevoli e difficoltà di ogni tipo, continuino a conservare un certo grado di ottimismo. L’ottimismo, e non l’incoscienza, aiuta a credere che prima o poi una persona seria la incontreremo. Per Aristotele il giusto mezzo ci rende felici e ciò possiamo applicarlo anche nel considerare senza eccessi le diverse situazioni.
La bassa considerazione di sé inibisce i rapporti con gli altri. Ecco un caso che può essere capitato a noi o lo abbiamo notato come comportamento altrui: una nuova conoscenza ci invita a casa sua, organizza una cena in compagnia anche di altre persone e ci dimostra di avere piacere della nostra presenza. Se siamo mossi dalla convinzione di non meritarci la sua amicizia, quando ci congediamo tendiamo a ringraziare esageratamente o a addirittura chiedere scusa per il presunto disturbo arrecato. E ripetiamo le stesse parole ogni volta. È bene tener presente che la scarsa considerazione di sé induce in comportamenti che possono essere mal interpretati.
Si finisce così nella “superstizione”, nella convinzione di avere il marchio del non essere meritevoli. Pensiamo che ci capiterà sempre la stessa situazione negativa come se fossimo predestinati. Ma non è così. Per uscire da questa condizione e migliorare l’opinione di noi stessi bisogna desiderare fortemente un cambiamento: abbandoniamoci per un istante agli altri e godiamoci l'invito a cena senza troppo ringraziare. E qualcosa cambierà!
Maria Giovanna Farina

Il cibo è comunicare



Nutrirsi a volte diventa il problema della vita, non perché ci manca il cibo ma perché con esso abbiamo un rapporto strano. Senza condurre il discorso verso vere e proprie patologie, i cosiddetti disordini alimentari, rimaniamo nell'area delle difficoltà gestibili con la riflessione personale. Il cibo è comunicazione? Altroché! Comunicazione con se stessi e con il mondo. Se invito qualcuno a pranzo e dopo aver carbonizzato l'arrosto gli faccio trovare una scatoletta di tonno e due foglie di insalata posso volergli dire che non avevo tanta voglia di invitarlo, ma per qualche obbligo che sentivo nei suoi confronti l'ho fatto lo stesso. Ciò non significa che ogni volta si brucia qualcosa il significato è quello, ma potrebbe esserlo. Nutrirsi è comunicare anche con il proprio corpo, vi sarà capitato di provare un irresistibile desiderio di riempirvi la bocca di zucchero? Potrebbe essere dovuto ad un calo di zuccheri nel sangue e subito il nostro istinto di autoconservazione si sta mettendo in moto per sostenerci. E che dire delle grandi abbuffate per reagire ad un amore finito? Altro esempio di come, tentando di superare una delusione, ci si butta a capofitto nelle torte alla panna o si trangugia una tavoletta di cioccolato: il loro sapore rimanda al latte e al ventre materno. Quando siamo in difficoltà è naturale voler tornare bambini, ai bei tempi in cui la mamma ci accudiva; ciò non deve farci sentire deboli e infantili: allora il cibo faceva parte del suo accudimento, oggi rappresenta solo un nostro bisogno di gratificazione. È interessante anche imparare a notare quali sono le vivande che più amiamo offrire ai commensali, li c'è senz'altro una parte di noi, qualcosa che desideriamo condividere, qualcosa di speciale da comunicare. infine ricordiamo che l'atto di nutrirsi è sempre un atto d'amore verso noi stessi.
Maria Giovanna Farina



Intervista a Nicoletta Poli


In occasione dell'uscita del suo ultimo libro, ho incontrato Nicoletta Poli, filosofa e consulente filosofico, per conoscere che cosa l'ha spinta a raccontare questa storia.

Sul ponte dell'arcobaleno”, il tuo nuovo romanzo. Non si anticipano i contenuti di un romanzo per non togliere il gusto della scoperta leggendolo. Cosa ti ha spinta alla scrittura di questo libro?

"Sul ponte dell’arcobaleno” nasce, come al solito ed anzitutto, dall’esigenza di vivere più vite e di immedesimarmi in personaggi anche molto diversi da me per sperimentare nuove emozioni ed apprendere sempre più dall’infinita variegata natura umana. Ma nasce anche dall’esigenza di denunciare un sistema gravido di contraddizioni, permeato da una totale assenza di etica in un’Italia che avvalla le mafie e deride l’onestà di molti cittadini che vorrebbero un mondo migliore. E poi nasce dalla consapevolezza della nostra mortalità, di quel destino comune che dovrebbe stimolarci a lasciare un segno di benevolenza su questa terra. Infine, uno stimolo importante è stato rappresentato dal mio amore per gli animali e per la natura.
Ci sarà un momento in cui ci si ricongiungerà con chi abbiamo perduto sul ponte dell’arcobaleno, animali compresi. Ne parli come di una leggenda, ma al di là di ciò possiamo trovare in questa idea un significato simbolico utile alla nostra vita?
Che la vita è preziosa e che ognuno di noi ha la sua missione in questo mondo. Bisogna amarla la vita e valorizzare al meglio il tempo che abbiamo a disposizione. E comprendere che la vita è un miracolo e anche il fatto di essere amati è un miracolo. L’amore - per esseri umani ed animali – è il fil rouge che ci connette e ci fa ritrovare tutti, prima poi, fratelli in questo universo.
La malattia è un attacco cruento ad una parte di noi, il corpo: dobbiamo conviverci, trovare la forza di guarire per andare avanti e guarire. Cosa lascia questa esperienza?

È come scoperchiare il vaso di Pandora e trovarsi improvvisamente la speranza tra le mani. Una cosa che luccica, bella ed attraente, ma che non è così semplice da portare con sé tutti i giorni. Poi piano piano impari a conviverci, scoprendo che senza di lei non potresti più esistere. E la vita assume tutta un’altra prospettiva: più umana, meno ego centrata, più comprensiva nei confronti della sofferenza altrui. Si viaggia più in rete, come dire. Capisci che siamo tutti indissolubilmente legati gli uni agli altri con un unico comune destino: quello di essere a termine. Ma in questo viaggio a termine apprezzi la memoria del mondo, la meravigliosa gioia di vivere e raccontare.

Quali sono gli esseri più capaci, e per questo irrinunciabili, di starci accanto e farci superare il momento difficile?

Innanzi tutto siamo noi stessi che dobbiamo saper convivere con la consapevolezza della nostra finitezza. Poi, certo, anche i famigliari, gli amici che però non puoi sovraccaricare di responsabilità ed ansie. E anche gli animali, in particolare i gatti che amo infinitamente per la loro discrezione e silenzi pieni di parole.

Anche la morte conduce metaforicamente ad una rinascita, un filosofo pratico come affronta questo passaggio della vita?

Come dice qualcuno, dovremmo morire un po’ ogni giorno per capire il senso profondo della nostra vita. Ci vuole tutta la vita per imparare a vivere e, quel che forse sembrerà più strano, ci vuole tutta la vita per imparare a morire. E, dopo la morte, la rinascita. Nei momenti difficili della vita la filosofia è l’unica medicina che ci può aiutare ad accettare la nostra finitezza. La filosofia nasce dall'esigenza dell'uomo di rispondere alle domande fondamentali della vita, ed è, come dice Aristotele, attività "nata dal dolore e dalla meraviglia". Filosofia è dialogo. E il dialogo non è gioco, una chiacchiera, è una cosa seria. Il dialogo, come dire, “sbroglia delle matasse”, come ben ci insegna Socrate, arriva ad una sorta di verità provvisoria. E Socrate vedeva nella filosofia lo strumento principe del risveglio della coscienza morale. Il filosofo pratico può sostenere la persona a pensare più chiaramente, ad indagare nel magma della sua – spesso tacita e non consapevolizzata - filosofia di vita e del suo sistema di valori. La nostra è una professione meravigliosa che può aiutare tante persone che hanno problemi di diverso tipo. La filosofia cura l’anima e fa diventare saggi e felici. Il riprendere in mano la propria vita, conquistare il coraggio di vivere e pensare con saggezza è una delle finalità della consulenza filosofica. Ho visto tante persone che, facendo questo percorso, sono come risorte, hanno visto aprirsi davanti tante strade e tante opportunità impensabili.

Perché leggere il tuo romanzo?

È un libro che, a detta di alcuni scrittori che l'hanno letto, incuriosisce al punto che si legge in un paio di giorni, commuove, intriga e fa riflettere su molti temi. A mio modesto parere, per essere efficace, uno scrittore deve attenersi alla verosimiglianza anche se il tessuto narrativo è completamente fuori dalla realtà. Un personaggio deve essere credibile anche se vive ed opera su Plutone. E poi bisogna avere la capacità di inventare delle storie credibili anche su un terreno poco credibile e di scindersi in tante anime differenti che possono dialogare tra loro. Forse la scrittura è più un’operazione di dissolvimento dell’ego in tanti io, una sorta di operazione schizofrenica. Talvolta terapeutica e talvolta no. Io ci ho provato. E a detta anche dell’illustre prefattore Gian Ruggero Manzoni, che stimo come artista a 360 gradi, sembra che ci sia riuscita. Ma bisogna migliorare. Sempre.

Maria Giovanna Farina




Il libro: Sul ponte dell’arcobaleno” è un romanzo che narra le storie di Lucia, Petrella, Carla, Marcello, Visone e Karma ossia di sei personaggi molto diversi tra loro per età e vissuti, con in comune eventi stranamente similari e magiche coincidenze: una forte passione amorosa, l’appuntamento con la patologia incurabile di un proprio caro, l’incontro con gatti e cani dal nome Medone, la speranza di approdare prima o poi al luogo leggendario del ponte dell’arcobaleno ove si potranno riabbracciare  finalmente umani e animali tanto amati in vita. Lucia, Petrella, Carla, Marcello, Visone e Karma snocciolano la loro vita intensa, complessa, gravida di avvenimenti e talvolta spericolata, sullo sfondo della storia dell’Italia contemporanea tra amori, truffe, mafia, n’drangheta, camorra, massoneria e sogni di un mondo migliore.   Prefazione di Gian Ruggero Manzoni ed. Book Sprint 





Vecchi motivi e nuove pubblicità


Oggi vorrei parlare di pubblicità e musica intesa come accompagnamento degli spot.
Tutti gli inserti pubblicitari, o quasi tutti, prepotentemente insinuati a volte come indotti da una coazione a ripetere, in ogni programma televisivo o radiofonico, ma principalmente televisivo, sono associati a brevi motivi musicali per meglio imprimere nella mente il prodotto reclamizzato. Ciò detto, ho notato che sono sempre più brani d’altri tempi, refrain di canzoni di successo degli anni passati anche da oltre cinquant’anni. Mi sono preso la briga di segnarli e ho superato abbondantemente la decina. Tutte canzoni intrise di vera musicalità, armonie difficili da trovare nelle attuali sempre meno musicali e prive dell’amore che contrassegnava quelle di un tempo, in particolare i pezzi rap.
Mi sono chiesto quali fossero i motivi a spingere i pubblicitari verso questa scelta e senz’altro una orecchiabilità piacevole che non faccia venire voglia di togliere l’audio o di cambiare canale ha il suo peso, ma non credo che sia solo questo visto che i giovani si sono ormai abituati alle cacofonie volgari e ultraripetitive.
In quanto al non pagare i diritti d’autore, non penso poiché hanno la durata di settant’anni e poi non credo che influiscano molto sul budget di uno spot quindi il punto sta forse nel termine “giovani”: le pubblicità dedicate a loro sono una minoranza, per lo più sono rivolte ad un pubblico adulto se non anziano, un target che ha conosciuto la vera musica e aborrisce, fatta eccezione per alcuni brani musicali attuali degni ancora di essere definiti tali, il prodotto dei vari rappresentanti di ciò che va per la maggiore oggi.
A dire il vero ci sono anche alcuni prodotti destinati ai giovani che vengono associati a motivi datati come per esempio la pubblicità di Aperol Spritz che ha scelto happy together un motivo in voga negli anni sessanta, ma sono casi rari.



Qui di seguito sono annotati alcuni brani delle canzoni usate come sfondo musicale degli spot e le relative aziende commerciali che sono riuscito ad individuare:










1 - Come prima                        adottata   da                          Prima, compagnia di assicurazioni
2 – Happy together                      “                                         Aperol spritz
3 – Luglio                                    “                                         Fiat 500
4 – Il mondo                                “                                         Crodino
5 – Anema e core                         “                                        Tè San Benedetto
6 – Sirtaki                                    “                                         Pesto Barilla
7 – Sapore di sale                        “                                          Costa Crociere
8 – Mariù                                    “                                           Dolce & Gabbana
9 - Che serà serà                         “                                           Schweppes
10 – Canzone americana            “                                            Stella Artois
11 – Mamma                              “                                            Salumi Gardani
12 – Guarda come dondolo        "                                           Intimissimi
13 – Che cosa c’è                       “                                           Esselunga


Che sotto sotto ci sia un desiderio più o meno inconscio di tornare alle belle e piacevoli canzoni di una volta?

Max Bonfanti, filosofo analista