Volontario casuale

Sempre più persone si dedicano al volontariato, in particolare giovani in attesa di occupazione e persone che hanno terminato il loro ciclo lavorativo e possono godersi una meritata pensione. Qual è il motivo che spinge tanti a dedicarsi agli altri senza aver nulla in cambio? Il busillis sta proprio in quel “nulla”: non è esatto dire senza aver nulla in cambio poiché qualcosa la ricevono anche se non in beni materiali: la soddisfazione di rendersi utili è un “pagamento” dal punto di vista spirituale superiore a quello economico. Secondo certi volontari che ho intervistato il vantaggio che traggono dal prestare la loro opera è superiore a quello del ricevente, si può quindi essere portati a credere che in certi casi il maggior beneficiario sia soprattutto il volontario.

Chi offre le proprie prestazioni a titolo gratuito in genere assume incarichi fissi, in certi giorni e in certi orari, ma ciò di cui vorrei parlare è quel tipo di volontariato non regolato da orari o dal calendario. Ci sono svariati modi per rendersi utili al prossimo, casi che si presentano quando meno ce lo aspettiamo come aiutare qualcuno in difficoltà nel fare cose comuni. Sono piccoli gesti che però danno grande piacere. Citerò alcuni esempi in cui si può compiere gesti altruistici che forse danno anche più soddisfazione del volontariato classico, proprio perché inaspettati. Aiutare una signora a portare sulle scale della metropolitana la carrozzina col bimbo, fare attraversare la strada a chi autonomamente avrebbe difficoltà, cedere il posto sui mezzi pubblici o nelle sale d’attesa a chi ne ha più bisogno di noi, e in genere aiutare chi si trova in difficoltà nello svolgimento delle normali attività. Ci si può rendere utili anche nei confronti degli animali, per esempio una volta mi è capitato di liberare un piccione che si era impigliato con una zampina in un filo che gli impediva di prendere il volo. La soddisfazione provata non era inferiore a quella di aver prestato altri aiuti. Ciò che si prova nel dare una mano al prossimo, chiunque esso sia, oltre a rappresentare una sensibile senso civico, è un piacere profondo che per poterlo ben descrivere bisogna solo trovarsi in quella particolare situazione e, come dice il Vangelo Mt. 6,3 “…Fa’ che la tua mano sinistra non sappia quello che fa la tua destra in modo che la tua elemosina (aiuto) rimanga nel segreto…”

Un altro modo per rendersi utili al prossimo, certamente molto più impegnativo, potrebbe essere donare il sangue o il midollo osseo ma in questo caso il piacere di aver salvato una vita sarebbe incomparabile e, chissà che un giorno quel prossimo potremmo essere noi. Il piacere di fare del bene ci ripaga sempre anche quando non ci viene riconosciuto! Un vecchio adagio diceva: ”Fai il bene e scordalo”. 

Max Bonfanti, filosofo analista


Conosci te stesso? Conosci le tue mancanze?


Filosofia, come aiuto ad applicarla alla vita quotidiana: il primo passo verso se stessi

Sapere di non sapere è sapere”. Possiamo considerare questa famosa frase di Socrate come il punto di partenza della ricerca di sé. Per ri-trovare se stessi è auspicabile iniziare il viaggio con questo presupposto. “Sapere di non sapere” significa essere consapevoli delle proprie mancanze e incapacità, questa ri-cerca può apparire una banalità, al contrario è meno facile di quanto si possa credere. Per orgoglio a volte non si vogliono prendere in considerazione le proprie carenze: “Io non sono capace di …, Io non sono in grado di…” sono affermazioni difficili da ammettere a se stessi, figuriamoci agli altri. La consapevolezza della propria ignoranza, per parafrasare Socrate, diventa anche il primo obiettivo di chi vuole conoscere se stesso. È un’operazione semplice e complicata allo stesso tempo e richiede un po’ di umiltà. Dobbiamo lasciar uscire il nostro essere dall’arroccamento di una chiusura troppo difensiva che ci offre una sola visione del reale, per abbracciare, al contrario, delle possibilità alternative. La ricerca della consapevolezza della propria incapacità vuol dire scoprire ad esempio che non siamo in grado di comprendere le esigenze altrui e di conseguenza non riusciamo ad instaurare buone relazioni. Non capiamo ad esempio nostra moglie o nostro marito. Perché siamo incapaci? Forse non sappiamo ascoltare, forse ascoltiamo solo quello che vogliamo udire e non quello che realmente ci viene comunicato. Forse ascoltiamo solo quello che ci conviene. Se siamo disposti a compiere questo primo passo, possiamo partire alla ricerca e alla scoperta di strumenti utili: il mio interlocutore è di fronte a me, lo osservo, confronto il suo linguaggio verbale con quello non verbale……. E così mi incammino verso l’altro.