La timidezza si può vincere

disegno a matita di Flavio Lappo

La parola timidezza deriva dal verbo latino timère, ha a che fare perciò con la paura e il timore. Chi è timido si sente bloccato nei rapporti con gli altri e lo dimostra anche con reazioni fisiche: può diventare rosso in volto, e poi sempre più rosso per la vergogna di essere notato, può balbettare o avere una eccessiva sudorazione delle mani... Il timido è sostanzialmente un insicuro che ha poca fiducia nelle proprie risorse, perciò si crea tante difficoltà quando deve affrontare qualcuno, soprattutto se è coetaneo e dell’altro sesso dove la possibilità di essere fraintesi gioca un ruolo decisivo: ciò lo conduce spesso a comportamenti asociali che rendono un’immagine di sé falsata. Un timido può essere esitante nello stringerti la mano, non ti guarda negli occhi quando ti parla, giunge persino a non salutarti se ti incontra per strada. A volte, per reazione, usa un linguaggio scurrile per mascherare la propria timidezza, l’altro però lo interpreta come arrogante e maleducato. Ciò spinge maggiormente il timido in quel atteggiamento di difesa che ho descritto e l’altro a convincersi di aver a che fare con una persona indisponente. Quando la timidezza è eccessiva si crea una vera e propria barriera tra noi e l’altro. Il punto centrale della timidezza è scoprire e valorizzare le proprie capacità e competenze per acquisire quella fiducia in noi stessi che ci permetterà di superare lo scoglio. Con quali strategie iniziare? Se siamo timidi con l'altro sesso, cerchiamo di socializzare con qualcuno o qualcuna che non ci attrae, ciò aiuta ad entrare nella situazione. Se il nostro timore è parlare davanti ad una platea, iniziamo con l’assemblea condominiale o ad una festa di compleanno. Il timore si vice sostanzialmente in tre modi:
1) Affrontiamo prove alla nostra portata: prima di scalare il monte Bianco, ci sono montagne meno impegnative
2) Convinciamoci che chi incute timore spesso ci fa paura perché lo sopravvalutiamo
3) Cerchiamo di colmare la nostre lacune conoscitive, questa è la strategia fondamentale che dà risultati certi



il collezionismo



Quando il collezionismo occupa eccessivamente lo spazio degli altri diventa un ostacolo per la vita in comune. È interessante considerare l’oggetto che si sceglie: spesso è casuale, ma in tanti casi dice molto dei bisogni della persona, comunica qualcosa di importante da non sottovalutare e se continua non è più casuale.
Ma cosa è il collezionismo? Ognuno di noi ha iniziato almeno un volta nella vita una raccolta, a partire da quella di figurine nell’infanzia per giungere ad oggetti di vario tipo da adulti. I pezzi di una collezione possono essere di materiale prezioso ma anche di plastica, per il collezionista non ha alcuna importanza il componente, ciò che conta è l’oggetto e le sue svariate rappresentazioni. Riflettendo possiamo subito dedurre che chi colleziona si appropria di copie diversificate, anche minimamente, della stessa cosa. Il suo desiderio è possedere sempre più oggetti, i più rari, i più strani, quelli che non possiede nessuno, è un po’ come dire “Io sono arrivato a possederli tutti”. Se da un lato questo può apparire un atteggiamento infantile, dall’altro possiamo considerarlo un bisogno di rassicurazione. Chi possiede tutte le versioni (cosa impossibile) di una bottiglia possiede la bottiglia e quindi ciò che essa rappresenta per lei o per lui. Collezionare è, dal mio punto di vista filosofico, possedere la storia: gli oggetti collezionati ricordano i vari momenti in cui sono entrati nella nostra vita, dicono l'epoca in cui sono stati costruiti... Se osserviamo però il collezionista ci accorgiamo che non raggiunge mai l’appagamento, è felice quando aggiunge un nuovo pezzo alla sua raccolta, ma torna smanioso subito dopo. L’oggetto dei desideri consente di mettere in luce qualcosa di cui siamo privi, quindi la collezione può darci anche l’illusione di colmare una vuoto.
Il collezionismo si può considerare come il gatto che si morde la coda, un'azione che non raggiunge mai l’obbiettivo, a meno che si decida di terminare la raccolta. Possiamo concludere dicendo che il collezionista va lasciato fare, solo in casi estremi se dilapida ad esempio il patrimonio di famiglia, o pericolosi come nel caso dei serial-killer, è necessario intervenire. (Segnalo un caso particolare da me trattato, “Il collezionista di Barbie”) http://www.mariagiovannafarina.it/barbie.html

Alzi la mano chi non ha mai detto una bugia?

Disegno a matita di Flavio Lappo

Le bugie fanno parte della nostra vita quotidiana, non hanno sesso né età: alzi la mano chi non ne ha mai detta una? Ci sono bugie involontarie e bugie volontarie. Qualche anno fa la Cassazione ha stabilito che non è reato dire bugie per difendere l’amante, difendere cioè il suo onore dal pubblico dileggio. Questa può considerarsi una legalizzazione del mentire? Direi di no, è solo un richiamo all’onore e alla privatezza della persona quando per la legge non ci sono di mezzo fatti gravi. La cosa che a noi interessa è il mentire per il gusto di farlo al di là del bisogno di scagionare. Per questo motivo osserviamo i nostri bambini e il loro rapporto col mentire. Chi ama raccontare tante panzane lo fa spesso per realizzare un desiderio che può essere quello di, almeno nella fantasia, vivere una vita gratificante e allora racconta di essere un pilota, una modella o amico/a di un vip. Raccontare le bugie è un’arte, sono necessari alcuni requisiti: 1) avere ottima memoria per non cadere in contraddizione 2) possedere spiccate capacità per giustificare in modo credibile eventuali gaffe 3) spirito istrionico per essere creduti. Il mentire è anche un utile strumento per crearsi uno spazio privato (fantastico o reale) inaccessibile a chicchessia. E allora vediamo che chi ama mentire è una persona che ha avuto poca libertà d'azione fin dalla più tenera età, non è riuscita ad attirare a sé le persone, per cui ha dovuto per raggiungere l’intento costruirsi una realtà parallela più interessante della propria. Ricordo un bambino che, vivendo lontano dal padre per molti mesi all'anno, dovette crearsi una vera e propria realtà immaginaria per tollerare il dolore della mancanza. Quindi raccontava di aver trascorso il fine settimana in una località di mare dove sapeva che il padre si recava per lavoro, impreziosendo il racconto con particolari del tutto inventati ma pertinenti. Questo eccessivo uso della bugia fantastica gli procurò uno squilibrio del comportamento che intaccò i suoi rapporti con gli altri. Ciò ci insegna che la bugia fantastica aiuta entro certi limiti, ma non può e non deve sostituire la gratificazione concreta, questo vale per tutti i nostri rapporti con le cose e con le persone. Fondamentale è non mentire a se stessi, la filosofia a partire da Socrate ci ha insegnato ad eliminare le false idee della mente attraverso un interrogarsi critico alla ricerca di risposte vere.
Maria Giovanna Farina

Non generalizziamo


Disegno a matita di Flavio Lappo

La generalizzazione è un atteggiamento anti-filosofico, portando il discorso nel quotidiano possiamo affermare ad esempio: se un uomo ci ha tradite non significa che tutti gli uomini sono traditori o se un'insegnante tratta male i bambini non vuol dire che le insegnanti sono tutte streghe di Biancaneve. Generalizzare è sbagliato, lo affermava anche con il suo libro La formazione dello spirito scientifico il filosofo del '900 Gaston Bachelard, perché ogni individuo, pur avendo tante caratteristiche in comune con i suoi simili, è un mondo a sé e ciò che va benissimo per un soggetto non è detto sia adatto per un altro. Pensando alle feste natalizie appena trascorse e alla malinconia che ad alcuni di noi hanno lasciato o addirittura hanno provocato durante il loro svolgimento, cerchiamo di dare una risposta partendo da un discorso generale, ma non generico né generalizzante, sulla possibile causa delle nostre tristezze. Proviamo a chiederci: non sarà che la realtà è troppo diversa dell’immaginazione? Un suggerimento questo ispirato al pensiero di Platone, quando sostenne come ci sia un abisso tra le idee che abbiamo nella mente e la realtà, che può condurci ad una riflessione interessante. Tutti abbiamo nella mente un’idea del Natale legata allo stereotipo del Natale festa meravigliosa dove tutto è perfetto, ma la realtà, anche se di poco, è sempre diversa e ciò disillude. Suggerimento: per godere delle feste è preferibile apprezzare ciò che abbiamo smettendo di sognare ciò che non abbiamo o non abbiamo più. Questo suggerimento credo sia valido un po' per tutti e lo possiamo applicare non solo al Natale ma al resto degli avvenimenti quotidiani della nostra vita: non sto dicendo di accontentarci, ma di apprezzare ciò che già abbiamo di prezioso. Magari viviamo con un uomo che ci ama, ma ciò non ci gratifica fino in fondo perché siamo ancorate ad un modello di relazione che sognavamo durante l'adolescenza: la fregatura è che quel tizio, di un tempo che non c'è più e magari abbiamo idealizzato, ora chissà dov'è e come è diventato....e noi nel frattempo ci perdiamo l'oggi: questo, alla fine, è il vero dramma.
 Maria Giovanna Farina