Come realizzare i nostri progetti


I piccoli e i grandi progetti dell’esistenza hanno bisogno di una buona elaborazione per essere realizzati. Teniamo conto che progettare è l’attività peculiare dell’essere umano, è un’attività che sviluppa l’intelligenza e testimonia il nostro desiderio di vivere. A volte le idee ci frullano disordinatamente nella mente creandoci uno stato d’ansia e di insoddisfazione difficilmente gestibile perché non sappiamo se riusciremo mai a realizzarle. Quale strada percorrere per raggiungere l’obbiettivo, eliminare il disagio e avvicinarci alla felicità?
È necessario partire da progetti piccoli e di facile realizzazione come ad esempio assecondare il nostro desidero di dare un nuovo ordine al contenuto degli armadietti della cucina. 
- Se voglio un nuovo ordine vuol dire che quello attuale non mi soddisfa, perciò le idee nuove le scriverò su un quaderno
- Successivamente tra le idee che andrò ad appuntarmi farò delle scelte: quali tenere e quale cestinare
- Quando avrò deciso il nuovo ordine sarà il momento per iniziare i lavori
- Prima di svuotare gli armadietti devo trovare un piano d’appoggio provvisorio che non ostacoli i movimenti in casa   
- Ora potrò realizzare il mio progetto sicura della buona riuscita
Questo procedimento applicato ad una situazione molto semplice e non di difficile realizzazione ci dà il metodo, poi possiamo applicarlo a tutti i progetti della nostra vita anche i più ambiziosi. Se ad un certo punto dovesse intervenire nel nostro lavoro un atto creativo, quello non è soggetto a regole e lasciamo pure che si esprima. Lasciamolo venire alla luce così la felicità sarà completa! 
Maria Giovanna Farina



















Quando lo scherzo fa bene


Disegno a matita di Flavio Lappo

Il primo aprile come tutti sappiamo è il giorno per convenzione dedicato allo scherzo, il famoso pesce d’aprile. Ad uno scherzo più o meno intelligente, più o meno divertente, più o meno accettabile. Quando lo scherzo possiede le sue doti migliori e risulta divertire chi lo fa e chi lo riceve, allora è un utile promotore di movimento e buona interazione sociale. Divertirsi vuol dire spostare l’attenzione altrove, in un luogo di evasione per alleggerire la pesantezza quotidiana, ecco che allora lo scherzo non può essere un divertimento a senso unico, provocare cioè la gioia di una persona ed il dolore ad un’altra come ad esempio fare uno sgambetto o raccontare che tuo marito ti tradisce. Prendiamo in considerazione lo scherzo che si avvicina al campo d’azione dell’ironia, quella capacità tutta di Socrate, di affrontare un argomento importante creando il giusto distacco un po’ scherzoso che sa mettere a proprio agio l’interlocutore, così da condurlo ad affrontare il problema senza alcun timore e con la giusta leggerezza. È un po’ lo stile dei miei scritti: affrontiamo la filosofia pur senza banalizzarla con quella semplicità che la allontana dal difficile linguaggio in cui la trattiene l’ufficialità per renderla pratica e utile a tutti. Lo stesso stile ritengo sia utile per affrontare le persone, quando serve l’ironia per creare quel giusto movimento nei pensieri. Potrei raccontarne uno scherzetto, ma lo farò all’occasione propizia... Il suggerimento di oggi è quello di inserire lo scherzo, quello buono che non fa male, nella vita quotidiana perché è un esercizio per l’intelligenza ed uno strumento per riuscire a dire cose difficili da dirsi: è più semplice, ad esempio, canzonare qualcuno che ci è antipatico che dichiararglielo apertamente. 
Maria Giovanna farina

Promesse, promesse...


Acrilico su tela di Flavio Lappo
Promesse mantenute, promesse disattese. Quante promesse facciamo e ci vengono fatte durante la nostra esistenza? Innumerevoli. Ci sono però promesse e promesse: quelle fatte pur sapendo che non saranno mai mantenute e quelle che nel momento in cui vengono espresse si è certi di mantenere. Queste ultime sono quelle fatte ad esempio quando ci si sposa: “Ti amerò per sempre” e in quel momento è difficile che non si sia convinti. Se poi il matrimonio non durerà per tutta la vita, e con esso l’amore, non si può parlare di promessa non mantenuta, nel senso che non c'era l'intenzione di ingannare. Le promesse non mantenute più dolorose sono quelle disattese da parte delle persone in cui si ripone, o si è riposta, la massima fiducia, mentre poi si rivelano inattendibili. Pensiamo alle figure di riferimento dell’infanzia quali i genitori, i nonni, gli insegnanti: sono le loro promesse non mantenute ad infliggere una ferita profonda nella nostra anima che torna a sanguinare quando qualcuno da adulti ci riserva un simile trattamento. Ecco perché a volte ce la prendiamo molto quando un leader politico, o una figura carismatica, si rivela diverso da come si era presentato: la nostra fiducia è stata un'altra volta ingannata. Anche nei casi più quotidiani, quando ci fidiamo della parola data e facciamo un contratto verbale perché per noi la parola è parola, e poi ci troviamo a doverci ricredere quando l'altro tradisce il patto. Non dobbiamo però dimenticare che anche noi, e non solo gli altri, siamo soggetti al rischio di fare a nostra volta promesse al vento, quindi pensiamo bene prima di promettere!
Vediamo ora qualche strategia per preservarci da pesanti disillusioni:
-Per prima cosa diffidiamo di tutte quelle persone che ci lusingano con la possibilità di ottenere buoni risultati con poca fatica, spesso c’è sotto una fregatura
-Impariamo a credere che un po’ di diffidenza non ci farà perdere il gusto della vita
-L’occhio disincantato viene percepito da chi vende false promesse, il credulone invece viene facilmente captato dai millantatori, quindi impariamo a mascherare almeno un po’ il nostro candore
-Infine non cediamo alla lusinga delle promesse ricattatorie del tipo: “Se farai il bravo, ti premierò…”, queste instaurano un rapporto “viziato” tra le persone ancor più se si insinuano tra genitori e figli durante l'infanzia.
Maria Giovanna Farina

Educare allo sport come cura dell'anima


Lo sport contribuisce alla perfezione fisica, ma non è solo questo. È disciplina, senza disciplina non si ottengono risultati, è coraggio, pensiamo agli scalatori o ai canoisti sulle rapide, è armonia estetica e coordinazione dei movimenti come ad esempio nella danza classica. Per queste ragioni gli antichi Greci, che contavano gli anni dalla prima Olimpiade (776 a. C.), esaltavano il valore della ginnastica come utile disciplina per ottenere insieme alla conoscenza/sapienza quella perfetta eutimia tra anima e corpo, e immortalavano nelle loro opere d’arte scene di giochi sportivi con i loro campioni. In modo particolare lo sport a squadre prevede il coordinamento degli sforzi e l’obbedienza ad un progetto comune. Nel gioco di squadra emergono le caratteristiche individuali che armonizzate con quelle degli altri giocatori danno l’opportunità di lavorare insieme ed in questo modo lo sport diventa una palestra per la vita quotidiana. Da anni gli episodi di cronaca danno dello sport ed in particolare del calcio una visione molto diversa. Si è perduto l’aspetto ludico della partita, vale a dire il suo carattere disinteressato, essa infatti dovrebbe sancire la vittoria del migliore in completa sintonia con lo spirito sportivo. La partita è un insieme di regole finalizzate al raggiungimento dell’obbiettivo, l’agonismo non deve essere guerra, ma sana competizione e non dovrebbe dar luogo ad un conflitto per la vittoria finale. Quando si arriva allo scontro non si tratta più di agonismo ma di tifo esasperato, il fanatismo sportivo che provoca disordini. Il fanatismo, in tutte le sue diverse espressioni, ha funestato la storia dell’umanità provocando guerre, persecuzioni e conflitti violenti: insinuandosi nello sport lo trasforma da momento di divertimento e gioia, in occasione di conflitto preparando il terreno ad un'illegalità dettata da esclusivo interesse economico. In conclusione, nello sport sembrano insinuarsi i lati peggiori della vita contemporanea: l’insofferenza verso le regole, il rifiuto di un giudizio obiettivo contrario ai nostri desideri, la volontà di averla vinta ad ogni costo. Ci siamo allontanati troppo dalla visione olimpica dell’antica Grecia e questo deve farci riflettere per poter ri-donare allo sport il suo valore fondamentale: quello di cura del corpo per ben convivere con l’anima, fin dall'infanzia.
Maria Giovanna Farina

La ri-cerca del tesoro


La ricerca del tesoro è una tematica ricorrente in tanti romanzi d’avventura, basta ricordare il celebre romanzo di A. Dumas (padre) Il conte di Montecristo. Per vedere l’isola Montecristo, che è una riserva naturale dal 1971 abitata da due guardiani e due guardie forestali, dobbiamo avventurarci in barca al largo dell’arcipelago toscano (l’isola si trova a circa 45 Km sud dell’isola d’Elba) perché non si può approdarvi senza autorizzazione. Questo ammasso roccioso ha ispirato una storia a lieto fine utile per le nostre riflessioni. La trama è nota, Edmond Dantes viene incarcerato ingiustamente, ma trova il suo riscatto sociale e umano grazie ad un abate che lo erudisce in carcere e gli rivela la presenza di un tesoro nell’isola di Montecristo. Dopo l’evasione Edmond va alla ricerca, trova il tesoro…. Ritorna in mezzo agli altri completamente rinnovato. Una storia che dà la speranza e la spinta a non arrendersi agli abusi perché l’onestà trionfi. Nella vita reale non sempre le ingiustizie trovano riscatto, ma se spostiamo sul piano simbolico l’intera vicenda, (ricordiamo che la filosofia si occupa anche della lettura simbolica del reale) ci rendiamo conto che l’isola non è che l’individuo privo di relazioni, la mancanza di scambi con gli altri è una prigione dalla quale si può uscire se si intraprende la ricerca di sé. La ri-cerca di quel tesoro che c’è in ognuno di noi ci allontana dall’isola dell’isolamento. Magari è nascosto in fondo al mare della dimenticanza e la ricerca diventa più intensa e difficile, ma ne vale sempre la pena. Nei romanzi i tesori sono quasi sempre in fondo al mare, il mare per Jung è l’inconscio collettivo dove risiede il patrimonio simbolico dell’umanità. Quindi, solo ri-trovando noi stessi nel mare in cui siamo immersi, anche attraverso il ri-appropriarci della lettura del simbolico, possiamo crescere come individui non più isolati. Dopo queste riflessioni, se visiterete le isolette al largo della Toscana, potrete cogliere qualcosa in più del paesaggio, qualcosa di più profondo che sfiora la vostra anima. Riflettendo sul romanzo di Dumas con questa nuova visione possiamo meglio comprendere perché da giovani si è attratti dai tesori nascosti, non si tratta solo di una questione venale.
Maria Giovanna Farina

Curioso o pettegolo? Questo è il problema


La curiosità è un lato importante dell’essere umano, aiuta a conoscere il mondo. In alcune persone però prevale quel tipo di curiosità che è soprattutto “Farsi gli affari degli altri”. Questo atteggiamento, se portato all’eccesso, diventa fastidioso e indisponente per chi lo subisce, ciò accade quando ci si imbatte in un tipo di curiosità che sconfina nel pettegolezzo, nell’osservare la vita altrui per farne motivo di chiacchiere in alcuni casi anche diffamanti. E pensare che essere curiosi aiuta a conoscere meglio gli altri, a migliorare le nostre relazioni, a far progredire la conoscenza; al contrario il pettegolezzo allontana ponendosi come giudizio moralista, critica indignata che in modo del tutto sterile non fa che aumentare la distanza dalle persone. Ci sono casi limite in cui il pettegolezzo divenendo diffamazione rovina la carriera, la reputazione e quindi la vita di chi è divenuto oggetto di maldicenze. Cosa possiamo fare quotidianamente per recuperare, o far recuperare, una sana e più proficua curiosità? È fondamentale avere degli interessi personali in grado di assorbire i pensieri, interessi gratificanti capaci di allontanare dal pettegolezzo. Chi è affetto da curiosità pettegola non si rende conto e solitamente non è disponibile a migliorarsi: il compito è tutto di chi gli vive accanto. È utile spingere la persona, che desideriamo aiutare, a cercarsi un hobby di facile realizzazione che impegnandola le permetta di raggiungere buoni traguardi. Se il passatempo di chi vogliamo “guarire” dalla curiosità è ad esempio cucinare, devo spingerla a cercare sempre nuove ricette da realizzare per fornire alla sua curiosità un giusto stimolo ed un canale costruttivo da percorrere. Ricordiamo che la curiosità come pettegolezzo è un modo per fuggire da se stessi, si osserva e scruta ossessivamente la vita altrui per non guardare la propria; se la persona pettegola che ci infastidisce è invece qualcuno al di fuori della nostra famiglia o delle nostre amicizie, l'unico rimedio è mostrare disinteresse per ciò che dice. 
Maria Giovanna Farina

Il purgatorio nella nostra vita quotidiana



Il Purgatorio, luogo intermedio e di passaggio tra i due “regni del non ritorno”, come si inserisce nella nostra vita al di là del significato religioso? Quando siamo in una situazione di sofferenza interiore perché ci è accaduto qualcosa di molto spiacevole e questa situazione sembra durare troppo siamo portati a dire: “Perché è toccata a me, cosa ho fatto di male per meritarmela?” Se analizziamo questa domanda ci rendiamo conto che accanto al male che ci assale c’è spesso l’idea che potremmo aver fatto qualcosa per meritarlo, che è la punizione per qualcosa che abbiamo commesso. Questa idea affonda le radici nella notte dei tempi quando il genere umano cercava di ingraziarsi il favore degli dei per paura degli eventi pericolosi di cui non sapeva darsi una spiegazione. Si può definire purgatorio una sofferenza temporanea in attesa del ritorno ad una condizione di vita serena. Il guaio è che in certi casi la condizione di purgatorio diventa permanente e lo stato di prostrazione che ne deriva amareggia la nostra vita. E’ il caso di quando viviamo situazioni che non ci piacciono e non riusciamo a far nulla per uscirne. E’ questa una tipica situazione e ciò che ci hanno insegnato fa a pugni con i nostri desideri! Vi faccio l’esempio, estremo e purtroppo comune, di quando una donna subisce violenza tra le mura domestiche e non fa nulla per denunciare le percosse che la umiliano. In certi casi si giunge alla situazione in cui la vittima nel suo tormentato disagio esistenziale arriva alla convinzione di essere colpevole e di conseguenza di meritarsi le botte del marito violento fino a convincersi che: “Ecco se stavo zitta non si arrabbiava…”. Il primo passo per uscire da questa prigione è attaccarsi con forza all’idea che noi umani per sfidarci abbiamo le parole, mentre ogni violenza non è giustificabile. Mai. Il secondo passo è cercare in noi una parte anche piccola da amare, aggrapparsi a questa ci aiuta far ri-crescere la considerazione di sé andata perduta nelle sottomissioni in cui abbiamo vissuto per un brutto periodo. In casi meno gravi, lo stesso meccanismo scatta quando un membro della coppia colloca l’altro in perenne condizione di colpa: “A causa tua ho perso un affare d’oro…”. Far sentire in colpa l’altro conduce al bisogno interiore di espiare e quindi: purgatorio.