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Acrilico su tela di Flavio Lappo, 2019 |
Quando
esce un nuovo modello di cellulare, in tanti si mettono in coda per
assicurarsi l'oggetto del desiderio, un oggetto tecnologico che in
molti, soprattutto giovani e giovanissimi, non vogliono e non possono
farsi mancare. Si parla di dipendenza e le code sembrano darne
conferma. Il mio discorso non vuole fermarsi a queste considerazioni
ma andare oltre per osservare qualcosa di diverso che possa far
riflettere sull'uso dei media digitali. Durante l'estate ho viaggiato
molto in treno, luogo privilegiato di osservazione, dove le persone
sostano per ore e devono ingannare il tempo. Ho osservato e fatto
statistiche: pochissimi libri di carta tra le mani, qualche tablet,
tantissimi telefonini e apparecchi di questo tipo impegnavano la
quasi totalità dei presenti. Ho visto far scorrere gli schermi con i
polpastrelli alla ricerca di ogni informazione, immagine, mail,
messaggi....durante tutto il viaggio erano in compagnia di questo
oggetto anche se nel sedile di fronte o di fianco c'era qualcuno. Il
dialogo non era sempre assente ma intervallato senza interruzione dal
contatto epidermico con il media digitale, quasi fosse un
prolungamento della mano e allo stesso tempo una coperta di
Linus.
Questo
comportamento mette in mostra l'insicurezza e il bisogno di contatto
cercato però nella macchina: forse
gli umani sono troppo difficili da comprendere? Accade perché
l'oggetto inanimato si crede non possa deludere? Il media non è una
parte del nostro corpo ma spinge per diventarlo, noi glielo
permettiamo rinunciando a tante abilità comunicative naturali e alla
libertà stessa. Chi dipende non è libero. Se riflettiamo, è molto
diverso il rapporto con le parti del nostro corpo, esse sono parti di
un tutto che ci fa vivere autonomamente nel mondo; se ne perdessimo
alcune come le mani, i piedi, gli occhi...potremmo vivere ugualmente.
Esse non sono cose da cui dipendiamo ma parti integranti di noi. Il
media digitale ci mette in contatto col mondo ma ci allontana dai
rapporti umani fatti di dialogo, fatti di parole nate e scambiate con
l'altro che ci vive accanto. Il media digitale e ancor più il touch
screen, lo schermo tattile, tende a diventare un prolungamento di
noi, ci robotizza, ci fa diventare tutt'uno col media.
Ma
soprattutto ci
fa illudere di essere onnipotenti:
basta un tocco e il meccanismo inizia a funzionare. Forse, è da
questa illusoria onnipotenza che si sta diventando dipendenti:
crescendo avevamo giustamente perduto l'onnipotenza infantile
rendendoci conto di essere uomini limitati, mortali e finalmente
separati dalla mamma. Ora stiamo diventando onnipotenti di
un'illusione digitale, sì, perché i bottoni del vero potere non
appartengono ai comuni esseri di questo pianeta. Così perdiamo il
nostro “fiuto”, la capacità di intuire ciò che vuole comunicare
chi ci sta difronte, cosa ha in serbo per noi, cosa nasconde dietro
un sorriso o una parola. In definitiva, la dipendenza dai media ci
rende solo più deboli.
Maria
Giovanna Farina
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