Musica e lacrime

Copertina di Da zero alle stelle, libro di Maria Giovanna Farina

Ritengo la musica anche un mezzo di trasporto temporale, forse il migliore, poche note hanno la capacità di fare viaggiare nel tempo alla velocità della luce per condurre là, dove null’altro è in grado di fare. Essa non chiede mai il permesso, ti prende e ti trans-porta, non importa dove sei, cosa fai, con chi sei, ti cattura e basta e il luogo del ricordo persiste nella mente indifferente pur senza di lei. Essa può essere un valido aiuto alla memoria per la sua capacità, oltre a quella di trans-portare, anche di riesumare ricordi che altrimenti resterebbero seppelliti nell’oblio; quante volte particolari sono riaffiorati alla coscienza grazie alla musica? Penso che chiunque abbia provato, almeno per una volta, di trovarsi in una posizione del genere. Un punto su cui vorrei indugiare quel tanto da creare una riflessione è relativo a quanto sia determinante l’esecuzione del brano nel ri-condurre chi ascolta nei luoghi del passato, ossia lo stesso motivo interpretato da un altro esecutore sortirebbe lo stesso effetto ai fini del ricordo? Lascio la risposta al lettore.
Un’altra cosa che non posso tralasciare, sempre relativa alle variazioni, anche minime, della musicalità del brano, è quando accade, soprattutto nei remake, che alcune note vengano volutamente cambiate da chi canta per dare una parvenza di nuovo, ebbene questa forma di revisionismo irrita tutte quelle persone che conoscono il brano nella versione originale: a detta di molti non c’è nulla di più cacofonico del sentire alterate le note conosciute, è qualcosa che innervosisce; qualcuno se n’è accorto ed ha riportato l’esecuzione al canto originale. Sono pochi i casi in cui un ri-facimento è apprezzabilmente ascoltabile. Per chi non conosce il pezzo non c’è alcun problema, ma mi chiedo, vi chiedo, ne vale la pena? Certi rifacimenti danno la netta idea di chi, esaurita la vena, è arrivato alla frutta o come dico io alla tovaglia da scuotere. Cambiare una nota sarebbe come cambiare un particolare di ciò che è stato, affermare che non andava bene, immemori che in quel dato momento era invece la cosa migliore. Probabilmente lo zoccolo duro dei fan, quelli che seguono il loro idolo nelle trasferte e preferiscono non usare neppure un pizzico di senso critico non ci badano, ma questi, per fortuna, non sono la maggioranza.
Dobbiamo molto alla musica, oltre a rallegrare gli animi ed accompagnarci nei momenti più gioiosi e felici, pensiamo alla marcia nuziale, essa possiede altre doti che non esiterei a definire catartiche e terapeutiche e credo, a questo punto che un cenno al rapporto musica – pianto, sebbene e forse proprio per questo, nel libro sia solo sfiorato, meriti la nostra attenzione. Certamente non tutte le musiche provocano il pianto, l’espressione catartica, liberatoria per eccellenza, e, sicuramente quelle che lo provocano ad alcuni, non lo causano ad altri; vi sono però alcuni brani che fanno piangere più di altri ed altri ancora che non commuovono per niente. Quale spiegazione si può dare a questo fatto? Anche ascoltando la musica che più predispone al pianto, come per esempio le opere di Puccini o il Requiem di Mozart, la maggior parte delle volte non si giunge alla emissione di lacrime, per lo più, per i soliti motivi per cui non si deve piangere, esse rimangono in nuce e la contrazione temporo-mandibolare ci aiuta a perseguire questo scopo.
Per prima cosa, affinché la musica possa agire in tal senso è necessario che abbia qualcosa in comune con il vissuto di chi ascolta, che evochi ricordi soprattutto della giovinezza. In assenza di questa condizione è poco probabile che possa realizzarsi il pianto. Chiarito questo punto occorre far presente che esistono alcune tematiche, come possono essere per esempio quelle relative alla Patria, che entrano a far parte del vissuto di ognuno, (bene o male il senso patriottico ci è stato inculcato più o meno velatamente sin da bambini e l’inno nazionale rappresenta per ogni cittadino la reificazione sonora della Patria) e altre, come la partecipazione a funerali o a funzioni e celebrazioni in cui molti piangono, che ci rendono più sensibili alle lacrime. Nella genesi del pianto “da musica” un ruolo importante lo rivestono anche gli strumenti musicali impiegati per l’esecuzione del brano: lo stesso pezzo, può generare sensazioni differenti a seconda che sia eseguito dalla banda, da un coro, da una voce solista, da un piccolo gruppo musicale oppure da un’orchestra sinfonica.
Quindi, in base a queste considerazioni direi che un certo tipo di musica assolve la funzione di produrre lacrime a causa della immediatezza con cui sa ri-portare a situazioni il cui ricordo predispone al pianto e, gli strumenti musicali usati per l’esecuzione, le condizioni psicofisiche e l’ambientazione venutasi a creare in quel determinato contesto, contribuiscono, a volte, in modo determinante. Infine il pianto si può considerare un sistema di misura per valutare la bontà di un pezzo: a certe persone la musica, come certe opere d’arte in genere, anche della Natura, quando raggiungono livelli eccelsi che toccano il profondo dell’Io, fanno accapponare la pelle e scaturire lacrime.
Dobbiamo altresì ricordarci che la musica non è solo il prodotto di importanti strumenti musicali in grado di esprimere interi brani senza l’ausilio di accompagnamento, ma anche di strumenti monotonali: cosa sarebbe la “Danza delle ore” del Ponchielli senza lo squillante, deciso e delicato suono del triangolo?
Max Bonfanti, filosofo analista
Articolo tratto dalla prefazione di
"Da zero alle stelle", e-book di Maria Giovanna Farina



Nessun commento:

Posta un commento