Era
il 1979 quando una ragazza di sedici anni venne attratta da un
cantante decisamente fuori da ogni schema: Renato Zero. Lui fu
più di ogni altro, mi stupisco ancora dopo quarant'anni della mia
reazione. Sì, quella ragazza ero io. Abbandonai ogni altro ascolto
della musica e presi a difenderlo da ogni critica, nessuno doveva
intromettersi tra me e la mia scelta. Come ho raccontato in “Da
zero alle stelle”, Renato è stato molto di più di un
cantante, era qualcuno che sapeva ascoltare e poi raccontare le cose
migliori ai giovani accompagnando le parole ad una musica di qualità.
Ed è stato questo ascolto a condurmi ad apprezzare anche la musica
classica.
Non
vorrei far paragoni, ma li faccio ugualmente. Penso al successo della
musica rap e al vuoto culturale che la maggior parte di essa porta
con sé, a volte non limitandosi al vuoto trasmette messaggi
pericolosi e fuorvianti. Chi frequentava i concerti di Renato era
invitato a tenersi lontano dalla droga, ma vicino agli amici,
distante dall'odio e tra le braccia dell'amore, era invitato a
pensare e non a lasciarsi vivere, era incoraggiato a non mollare mai
perché la meta ci stava attendendo.
Noi
ragazzi di allora abbiamo avuto una grande opportunità, quella di
essere testimoni di un sogno che stava per realizzarsi. Il sogno ha
alimentato la nostra crescita e sono certa che un frammento di
quell'eterna fiducia nella buona vita sia sempre vivo nella nostra
anima.

Sembra impossibile, ma sono
passati quarant'anni da quando
acquistai il 45 giri in vinile de “Il
carrozzone”, una canzone struggette e profonda, tra le più belle
di Zero e il simbolo di un tempo, e di una sedicenne, che ahimè, non
c'è più.
Maria
Giovanna Farina
Tutte le immagini sono del 1979
autore: Arpad Kertesz, da Erozero
Grazie a Roberto Passeri per avermele inviate
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