In
un’epoca “liquida” come la nostra, attraversata da dubbi e
inquietudini, dove le certezze di un tempo sono naufragate nel
mare profondo delle crisi, anche il discorso sulle differenze di
genere si è un po’ annacquato, generando confusioni e perplessità.
Senza
voler assumere una posizione giudicante, in una direzione o
nell’altra, mi soffermo a riflettere su cosa voglia dire oggi
appartenere al “femminile” piuttosto che al “maschile” e se
si possono ancora rintracciare delimitazioni nette o se bisogna
accettare che le categorie si sono sfumate e, in parte, intersecate
fra loro. Una volta la situazione era abbastanza lineare ed era
chiaro a tutti, ad esempio, che all’interno della famiglia il padre
dovesse assumere funzioni “paterne” e la madre quelle “materne”.
Per semplificare, dalla madre ci si aspettava soprattutto la cura
della casa e l’accudimento dei figli; dal padre il procacciarsi dei
mezzi di sopravvivenza materiale e l’educazione dei figli riguardo
alle regole e ai divieti. Al padre si riconosceva l’autorità e
nessuno metteva in discussione il suo ruolo “normativo”, ovvero
che fosse suo il compito di indirizzare i figli ad accettare e
rispettare le regole di buona convivenza, prima familiare e poi
civile. La funzione materna, invece, si esprimeva soprattutto nel
campo dell’affettività. Quasi a dire: che la madre si prendesse
cura dell’interno, il padre dell’esterno. Molti psicologi e
psicoanalisti hanno infatti indicato nella funzione paterna il ponte
tra la famiglia e la società.
Ebbene,
oggi sembra che molte di queste categorie siano saltate. Padri e
madri tendono a dividersi equamente i compiti e, spesso, a invertire
le tradizionali mansioni: il padre, quando è a casa, prepara da
mangiare, cambia i pannolini se necessario e discute ampiamente con
la compagna sulle regole da impartire e sulle loro modalità. La
madre, a sua volta, di sovente lavora anche fuori casa e si sobbarca
oneri e onori che una volta erano puramente attribuiti all’uomo. Di
primo acchito, tutto questo può sembrare una bella conquista. Uomo e
donna s’incontrano di più e negoziano insieme come mandare avanti
la famiglia, senza dare nulla per scontato. Si è pari nella dignità,
in casa come fuori.
Tuttavia,
questo molto spesso rimane un’utopia. Presi da mille
incombenze, pressati da una società sempre più competitiva, spesso
privi di una rete familiare che sostenga (non è raro che le coppie
si trovino geograficamente molto distanti dalle famiglie d’origine
e quindi dalla possibilità di poter contare su un aiuto da parte dei
nonni), uomini e donne tendono ad andare in tilt e ad allontanarsi
fra loro. Anziché sentirsi complici per la condivisione di compiti e
doveri, oltre che di gioie e soddisfazioni, si fanno fagocitare da un
ritmo sempre più estenuante e non hanno tempo o voglia di fermarsi a
riflettere. E così si agisce senza pensare, si moltiplicano le
incomprensioni e talvolta accade che la donna viva come invasione di
campo la forte presenza dell’uomo, soffrendo di dovergli dare conto
e ragione di tutte quelle scelte che attengono al “femminile”
(nel senso tradizionale). E a sua volta l’uomo, trovandosi di
fronte ad una donna stressata, s’infastidisce attribuendo la causa
del suo malessere al tempo trascorso fuori casa, dedicato al lavoro e
agli hobbies. Il discorso non è semplice perché le generalizzazioni
non sono mai facili e ogni famiglia vive le sue dinamiche. Mi sembra
però di ravvisare il fatto che i ruoli tradizionali sono stati
scardinati e spesso questo non è vissuto come un’opportunità, ma
con fatica e conflitti.
Si
osservano uomini molto, troppo materni che sbuffano
se la madre fornisce il latte ogni tre ore piuttosto che quattro e
madri che s’inalberano perché il compagno impartisce punizioni
troppo severe o regole eccessivamente rigide. Come dire, nessuno “sta
più al suo posto”, si discute su tutto, ma proprio tutto, e mi
chiedo quanto questo sia giusto. Dal ’68 in poi ci si è scrollati
di dosso parecchie etichette rese stantie dal tempo e si sono
superati vecchi schemi. Ma forse si è andati un po’ troppo in là
e sarebbe più giusto recuperare alcuni valori, senza dimenticare la
lezione del Paritismo. È bene che uomini e donne collaborino sul
lavoro come in famiglia, è bene che la madre abbia la possibilità
di realizzarsi anche fuori casa così come il padre all’interno
della famiglia e non solo nella carriera. Ma è anche bene che la
madre si riappropri del ruolo materno e che il padre non tema di
perdere l’affetto dei figli al momento delle proibizioni.
Condivisione,
ma anche rispetto delle diversità. Partecipazione, ma anche
divisione dei compiti. Collaborazione, ma anche accettazione
delle differenze di genere e di ruolo. Essere madri ed essere padri
non è la stessa cosa. Così come non è la stessa cosa essere uomini
ed essere donne. Perché tutti dobbiamo essere e fare tutto? Che i
bambini abbiano ben chiaro che cosa aspettarsi dalla madre e cosa dal
padre, che ci sia un certo ordine e una certa disciplina
dell’organizzazione familiare non è un male. Diceva qualcuno: il
padre insegna le regole, la madre insegna come trasgredirle. Non
bisogna scandalizzarsi per questo; fa parte del gioco della vita.
Avere in casa dei modelli certi del “principio femminile” e di
quello “maschile” e di come possano integrarsi nelle differenze
non è mai superato. In fondo, i ragazzi dovranno poi a loro volta
crearsi un equilibrio interno tra le componenti maschili e femminili,
tra animus e anima, direbbe Jung.
Chissà
se alcune confusioni nell’identità di tanti giovani di oggi
affondano le radici in certe contraddizioni nei ruoli familiari? Ma è
solo una mia ipotesi.
Eleonora
Castellano www.eleonoracastellano.com
Nessun commento:
Posta un commento