La rete e i malcostumi diffusi


Internet è sicuramente l'invenzione tecnologica degli ultimi tempi che più ha condizionato la nostra vita, modificando il modo di comunicare, di informarci, di fare acquisti e di passare il tempo libero.
Tale strumento rivoluzionario, tuttavia, dal momento della sua introduzione su larga scala, ha portato con sé molti pregiudizi e diffidenze dovuti, prevalentemente, alla difficoltà di identificare il proprio interlocutore e appurarne l'onestà. Infatti, valutare l'affidabilità di uno sconosciuto è già difficile quando lo incontriamo di persona, ma lo è ancora di più quando si cela dietro ad un computer.
La tecnologia, tuttavia, si affina sempre più con il passare del tempo, la protezione dei dati personali degli utenti è diventata una priorità assoluta, i sistemi di pagamento elettronici diventano sempre più sicuri, e quella sfera di anonimato che rendeva internet una sorta di terra di nessuno è quasi svanita. Anche le forze di polizia di tutto il mondo sono ormai attrezzate per prevenire fenomeni criminali attuati tramite internet e, quando falliscono in tale attività di prevenzione, molto spesso riescono comunque ad identificare gli autori e a portarli in un'aula di tribunale.
Le regole che governano internet si stanno quindi, sempre più, avvicinando alle regole che governano la vita reale e ormai è assodato che le cose che non si possono fare di persona non possono essere fatte neanche dal proprio computer.
Basta però fare una breve navigata in rete o seguire le notizie di cronaca per rendersi conto che c'è ancora chi, per ignoranza, per distrazione o per spavalderia, fa ancora affidamento all'impunità che garantiva l'anarchica internet degli anni 90.
Un esempio significativo è quello di due ventenni inglesi che, durante gli scontri di piazza avvenuti quest'estate in Inghilterra, inneggiavano alla violenza e al saccheggio creando “eventi” sul social network Facebook. Dopo alcuni giorni i due giovani venivano condannati a quattro anni di reclusione, anche se gli eventi da loro creati in rete di fatto non avevano mai avuto luogo. Per i giudici inglesi il comportamento tenuto dai due giovani configurava già di per sé il reato di istigazione a delinquere ed era pertanto punibile indipendentemente dal fatto che non avesse portato alle ulteriori più gravi conseguenze che i due con molta probabilità si erano prefissati.
Tecnicamente una condanna di questo tipo sarebbe possibile anche in Italia, dal momento che l'istigazione a delinquere è punita con la reclusione da sei mesi a cinque anni, anche se dubito che un giudice italiano valuti una simile situazione con tale severità.
Internet viene, quindi, considerato un possibile mezzo con il quale può essere commesso un reato e il fatto che l’autore sia comodamente seduto dietro la scrivania di casa non toglie le caratteristiche di reato ad atti penalmente rilevanti. Tale concetto, tuttavia, pare sfuggire a molti.
Visitando le pagine dei siti che hanno come scopo l’interazione fra utenti, come blog, social network, siti di condivisione di immagini e video, spesso ci si trova davanti a comportamenti che, oltre a trasgredire le più basilari regole di buona educazione, costituiscono veri e propri reati, a volte all’insaputa del soggetto stesso che li mette in atto.
Partendo dall’esempio sopra citato dei due ragazzi inglesi, che certamente non credevano di commettere un crimine, o per lo meno non così grave, si possono citare i litigi fra utenti che sfociano nel reato di ingiuria e minaccia, i casi di studenti goliardici che prendono di mira un professore spesso commettendo il reato di diffamazione, di utenti che deridono, insultano e minacciano in rete un personaggio pubblico, per non parlare dei casi di utenti che per goliardia, dispetto o con altri fini, celano la propria identità utilizzando dati personali altrui commettendo quindi il reato di sostituzione di persona. Questi sono solo alcuni esempi della violazione della legge che molti utenti commettono senza rendersene conto e senza pensare alle possibili conseguenze penali o anche solo civilistiche, ad esempio richiesta di risarcimento del danno, a cui vanno incontro.
Senza, quindi, considerare i criminali professionisti, fortunatamente in minoranza, che utilizzano consapevolmente internet come uno vero e proprio strumento del mestiere, la rete è anche frequentata da navigatori un po’ spavaldi e un po’ “bulletti” che si sentono in diritto di trasgredire le più basilari regole sociali per il solo fatto che non si espongono mettendo faccia e nome. Infatti, gran parte di questi individui non adottano tali comportamenti nella vita quotidiana e utilizzano internet come una sorta di valvola di sfogo. Per far fronte al fenomeno, molti siti hanno istituito la figura del “moderatore”, pronto ad invitare gli utenti a comportamenti corretti e ad eliminare i commenti più inappropriati. Altri siti hanno un sistema di controllo fra utenti: in pratica sono gli utenti stessi a valutare quanto un soggetto sia affidabile attribuendogli un giudizio positivo o negativo. Indipendentemente dalla possibilità, come visto del tutto concreta, che un utilizzo inappropriato di internet possa portare anche alla violazione della legge, a mio parere la questione sarebbe risolvibile applicando un po’ di buon senso ed educazione. Il rispetto e la correttezza da parte di tutti renderebbero internet più sicuro e affidabile e la polizia postale potrebbe concentrare la propria attività solamente per scovare i veri criminali. Di conseguenza ne guadagnerebbe la società intera dal momento che internet è diventato il principale centro culturale, commerciale e di informazione della nostra epoca, un luogo di incontro e di confronto, svolgendo una funzione pari a quella del Foro all’epoca degli Antichi Romani ma con dimensioni immensamente più vaste. 
Alessandro Bonfanti, dottore in Giurisprudenza

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