Mi sento in gabbia


La lente di Socrate

opera di Paola Giordano, Il Gabbiano, 100x100, tecnica mista


Sono tanti anni che rifletto sulla possibile scelta alimentare vegetariana, la immagino soprattutto come protesta contro gli abusi perpetrati nei confronti degli animali da allevamento intensivo. 
Ci sono tanti documenti e documentari che mostrano la vita di maiali e polli in condizioni disumane, direi dei lager dove le povere bestiole sono sottoposte a vere e proprie torture. Le scrofe ad esempio vivono in spazi angusti, costrette ad allattare senza potersi muovere in gabbie, quali fossero lì ad espiare da innocenti qualche crimine efferato. Non hanno nessuna colpa, sono solo incapaci di ribellarsi ad una vita di abusi. Non parliamo poi dei polli a cui da pulcini tagliano la punta del becco per impedire loro di distruggersi a vicenda a causa di un'aggressività indotta dalle condizioni assurde in cui sono costretti ammassati in gabbie; nel caso in cui li allevano liberi di muoversi, sono obbligati alla luce accesa h 24 per produrre uova senza interruzione. Queste ed altre terribili vicende sarebbero sufficienti per farci decidere di smettere di nutrirci di carni e derivati. I prodotti alimentari nati da questo tipo di allevamento oltre ad essere eticamente inaccettabili, sono anche nocivi alla salute per tutto lo stress, gli ormoni e i farmaci somministrati agli animali. Il mio viaggio tra i misfatti della nostra umanità alimentare non si è fermato qui. Ho scoperto che anche il miele industriale nasce dallo sfruttamento intensivo delle api alle quali non risparmiano atrocità, fino ad ucciderle per non doverle mantenere durante l'inverno: poi le ricomprano in primavera! Sembra un orribile paradosso e spero non sia davvero così.
Se però ci allontaniamo dal mondo animale, a cui tengo molto, e ci spostiamo sugli esseri umani, nascono nuove e non meno sconcertanti verità. Sappiamo tutti chi sono, per la maggior parte dei casi, le persone che raccolgono pomodori, agrumi, verdure varie. Uomini e donne del cosiddetto terzo mondo, ma anche italiani, che lavorano con salari da fame, quindi sfruttati, che dormono in stamberghe, che non vivono un'esistenza degna di questo nome. Allora non posso che concludere la mia riflessione dicendo che è tutto il sistema a non funzionare: per fedeltà a noi stessi sia come onnivori, vegetariani o vegani saremmo costretti a non mangiare più nulla perché ogni prodotto, a parte quello coltivato o allevato da noi stessi in campagna o in piccole aziende veramente bio, nasce dallo sfruttamento di qualche essere vivente. Andando oltre, non dovremmo neppure vestirci... 
La soluzione migliore non è semplice da raggiungere, certo è che andare avanti così non è più accettabile. Di una cosa ho la certezza: anche in questo caso è necessario un dialogo tra le varie posizioni con l'intento di abbandonare estremismi, proposte improduttive e spesso impraticabili. Come il gabbiano di Paola Giordano, vorrei uscire dalla gabbia.
Maria Giovanna Farina


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