Subire un periodo di chiusura, per usare termini italiani e non approfittare sempre della lingua inglese, può essere stata una esperienza diversa per ognuno di noi.
C'è chi si è sentito prigioniero, privato dei suoi diritti primari (cosa vuol dire che non posso uscire di casa?), chi ha goduto finalmente della famiglia e chi con la famiglia attorno 24 ore su 24 è schizzato. C'è chi finalmente si è sentito protetto nella sua abitazione e chi ha finalmente evitato le solite interferenze dei vicini o degli amici insistenti. Perché in fondo è così: se vivi di telefono e mezzi on line, puoi far finta di non aver letto, sentito, ricevuto, quello che invece di persona devi subire quotidianamente.
Io? sono stata benissimo, seppur sola; forte di una casa accogliente, di un giardino che mi permette di uscire liberamente... E così ho potuto assaporare una vita pacata, senza corse, senza impegni obbligati a cui spesso non so dire di no, insomma...peccato che è finito. So di dire una sciocchezza, devo dire e lo faccio con convinzione, meno male che è finito e speriamo non torni, ma non lo dico per me. Lo dico pensando a chi è mancato, agli amici perduti, agli ammalati, ai loro parenti, all'economia del paese, anzi del mondo intero.
Ma per tornare a me, in quei mesi mi dicevo - ecco, così dovrò fare alla ripresa, dosare le cose da fare, rinunciare a questo per scegliere quello; sarà così, ce la farò. E invece? tempo una settimana, alla ripresa delle attività eccomi di nuovo immersa in quella fretta ingiustificata, in quel non saper dire di no a tutti e ad avere, ancora una volta, l'ansia del fare. Allora non mi ha insegnato niente il Covid? Oh tante cose, il rispetto altrui, che non è mai mancato, l'attenzione a regole e norme da rispettare assolutamente, ma la pazienza e la calma no. Ha vinto ancora una volta la frenesia della vita moderna, quella che, a dirla con Calindri, una volta si vinceva con un Cynar...
Tutt’intorno, invece, fin dall'inizio ho avvertito una grande apertura agli altri, agli ultimi. Lavorando nel volontariato subito abbiamo notato quanto più si è mossa la gente. Se da un lato le richieste di aiuto sono salite alle stelle, con incrementi dei bisogni esagerati, dall'altro tantissimo veniva donato, dai privati e non solo. Abbiamo potuto sfamare molte nuove famiglie, oltre a quelle che assistiamo regolarmente, arrivando a giorni ad avere anche il superfluo.
Questo è stato, e se continua, è un aspetto molto positivo.
Purtroppo però, noto nella società una recrudescenza dei disagi e ne sono un esempio i fatti di cronaca di questi ultimi giorni. Ancor più violenze, sopraffazioni, femminicidi.
Il Covid ci ha inoculato una sofferenza maggiore? Non ci ha regalato solo solidarietà e pacatezza, ma anche insofferenza e voglia di predominare? No, questo non è il virus, ma la natura umana, che quando ci si mette mostra benissimo il peggio di sé, Covid o non Covid.
Spero possano arrivare al cuore di tutti e far riflettere le parole di Papa Francesco all’Angelus della festa di Pentecoste:
“Voi sapete che da una crisi come questa non si esce uguali, come prima: si esce o migliori o peggiori. Che abbiamo il coraggio di cambiare, di essere migliori, di essere migliori di prima e poter costruire positivamente la post-crisi della pandemia.”
Giuliana Pedroli, giornalista
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